Monsanto, la scienza a libro paga

Monsanto, la scienza a libro paga

Chi non si fiderebbe del parere di «un’associazione no profit di accademici, ricercatori, insegnanti e autori qualificati provenienti da tutto il mondo», impegnati contro «le falsità, le affermazioni approssimative, le teorie e le pretese non sottoposte a una revisione rigorosa»?

Sulla carta è così che si presenta – tuttora – sul proprio sito l’Academics Review, un panel di «esperti indipendenti nel campo dell’agricoltura e delle scienze alimentari» formato nel gennaio del 2010 da Bruce Chassy (all’epoca docente dell’università dell’Illinois) e David Tribe (professore associato all’università di Melbourne).

Nell’aprile del 2014 l’organizzazione pubblica uno studio di 30 pagine intitolato “The Organic Marketing Report” che attacca senza mezzi termini la «pluridecennale campagna di disinformazione pubblica» tesa a convincere i consumatori della maggior qualità e sicurezza alimentare dei prodotti biologici rispetto a quelli convenzionali.

Il report, forte dell’autorevolezza garantita dal suo status di “ricerca indipendente”, guadagna un notevole riscontro mediatico. D’altra parte Academics Review assicura l’assenza di conflitti di interesse nella ricerca e precisa che il gruppo «accetta solo donazioni non vincolate da restrizioni e provenienti da fonti non legate all’industria».

Tutto chiaro? Sì. Anzi no, perché si scoprirà solo in seguito che Academics Review non è nient’altro che la copertura di una più vasta operazione orchestrata da Monsanto per screditare l’agricoltura biologica – insieme a una serie di nemici ingombranti.


“Tenere Monsanto nell’ombra”

La vicenda ha inizio nel marzo 2010 con uno scambio di mail tra il professor Bruce Chassy, docente di scienze alimentari noto per il forte impegno in favore degli Ogm, e Jay Birne, ex membro dell’amministrazione e dello staff di campagna di Bill Clinton, poi capo della comunicazione di Monsanto e infine fondatore di un’agenzia di pubbliche relazioni.

Chassy dichiara da subito i suoi propositi: «Mi piacerebbe avere un nome di primo piano nel mondo del bio a cui lanciare missili balistici…», scrive all’interlocutore, aggiungendo però «di sicuro non ho i soldi».

Byrne suggerisce di lavorare «prima di tutto e rapidamente sul denaro (per tutti noi)!» e spiega di essere in procinto di discutere del progetto Academics Review con Val Giddins (ex vicepresidente di BIO, la lobby dell’industria biotecnologica) e pronto a chiedere il sostegno finanziario del Center for Consumer Freedom.

Quest’ultimo organismo è emanazione di Rick Berman, un personaggio che sembra uscito dal film Thank you for smoking: soprannominato “Dottor Male”, Berman è un lobbista noto per aver lavorato in favore dell’industria del tabacco e di altri interessi economici mascherati dietro la copertura di innocenti gruppi di ricerca.

Oltre alle sue conoscenze, Byrne mette sul piatto anche un elenco di obiettivi comprendenti personalità, organizzazioni e contenuti critici verso gli Ogm e Monsanto: nella blacklist figurano celebri attivisti come Vandana Shiva, Andrew Kimbrell e Ronnie Cummins, il Sierra Club (la più antica associazione ambientalista americana), Greenpeace, l’Institute for Agriculture and Trade Policy, il libro di Michael Pollan “In difesa del cibo”, i film-documentari “Food, Inc” e “Il mondo secondo Monsanto”, oltre a un certo numero di tematiche definite «aree di rischio per l’agro-biotecnologico (contaminazione, api, farfalle, sicurezza umana…)».

«Tutti questi individui, le organizzazioni, i contenuti e le aree tematiche significano denaro per una serie di società ben inserite» spiega Byrne, aggiungendo: «Credo che Val [Giddins, NdA] e io possiamo identificarle e provvedere agli appropriati mezzi commerciali (non accademici) con cui si possono connettere queste entità al progetto in modo da garantire la credibilità e l’indipendenza (e quindi il valore) degli autori».

«Suona bene – risponde Chassy – sono sicuro che mi farai sapere cosa stai discutendo».

In un altro scambio di posta elettronica datato 30 novembre 2010, Eric Sachs, addetto alle pubbliche relazioni di Monsanto, discute con Chassy di come fornire supporto ad Academics Review «tenendo Monsanto nell’ombra».

Lo scandalo emergerà solo anni più tardi: l’ultimo post pubblicato sul sito di Academics Review è del 2 settembre 2015 e contesta la decisione della ong US Right To Know di appellarsi al Freedom of Information Act per ottenere dall’università le corrispondenze tra Chassy e gli uomini di Monsanto.

Nel marzo 2016, la giornalista Monica Eng della radio WBEZ pubblica i documenti che dimostrano come Monsanto abbia corrisposto al professor Chassy più di 57mila dollari in un periodo di 23 mesi come corrispettivo per una serie di conferenze e pubblicazioni (e relative spese di viaggio) sul tema degli Ogm.

Il denaro è parte di un più ampio flusso, mai dichiarato e quantificabile in almeno 5,1 milioni di dollari, che attraverso la fondazione dell’università dell’Illinois ha finanziato ricercatori accademici e programmi di studio fra il 2005 e il 2015.

Sia Monsanto che Bruce Chassy (nel frattempo andato in pensione nel 2012) hanno rifiutato di commentare e di fornire ulteriori spiegazioni.


Le bugie hanno le gambe lunghe (quasi sempre)

Il j’accuse dell’Academics Review, come si diceva, ha avuto vasta eco al momento della pubblicazione. Anche dopo la scoperta dello scandalo, autorevoli mezzi di informazione continuano a citare Chassy come fonte autorevole: è successo ad esempio in due differenti articoli pubblicati da Associated Press nel corso del 2016.

Sul New York Post, Naomi Schaffer Riley costruirà a partire dal report di Chassy un pezzo contro «la tirannia della mommy mafia del biologico» e la cultura dell’allarmismo. John R. Block, già segretario di Stato all’Agricoltura sotto la presidenza Reagan e lobbista dell’agribusiness, saluta la ricerca che ha finalmente svelato le tecniche di “black marketing” alla base del successo del biologico.

Tra i più convinti sostenitori delle tesi espresse dall’Academics Review c’è Henry I. Miller, medico e divulgatore con centinaia di pubblicazioni all’attivo, nonché editorialista di punta su numerosi organi di stampa americani: Newsweek, National Review, Wall Street Journal, New York Times, Los Angeles Times e Forbes per citare solo i più prestigiosi.

Miller, al pari di Chassy, è a sua volta un campione della deregolamentazione e degli interessi delle corporation nella ricerca. È famoso ad esempio per aver sostenuto che la nicotina “non è particolarmente dannosa” e per aver chiesto a più riprese la reintroduzione del Ddt, ma è anche uno dei più noti e prolifici difensori degli organismi geneticamente modificati.

Per fortuna, non sempre le bugie hanno le gambe lunghe. Il 1 agosto scorso, il New York Times ha parlato di «documenti che dimostrano che Henry I. Miller ha chiesto a Monsanto di redigere per lui un articolo, rispecchiante in larga parte un pezzo apparso a suo nome sul sito di Forbes nel 2015. Forbes ha rimosso la storia dal sito web e ha dichiarato concluso il suo rapporto con Miller a seguito di queste rivelazioni».

Insieme al pezzo incriminato, sono stati rimossi anche gli articoli di cui Miller era coautore insieme ad altri sostenitori dell’agrobusiness come Julie Kelly, Kavin Senapathy e lo stesso Bruce Chassy. Tutti avevano dichiarato la propria “indipendenza” esprimendosi in difesa di pesticidi e Ogm.

Nelle email, il già citato Eric Sachs chiede a Miller, per conto di Monsanto, di scrivere qualcosa sulla decisione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di classificare il glifosato come possibile carcinogeno umano. Miller risponde: «Lo farei se potessi iniziare da una bozza di alto valore». Sachs gliene fornisce che reputa essere «un buono spunto per la tua magia». Alcuni giorni dopo comparirà, con poche alterazioni, sulle colonne di Forbes.

Vi raccontiamo tutto questo perché è notizia della settimana scorsa che Monsanto, in attesa di una decisione definitiva da parte dell’Unione Europea sul possibile bando del glifosato, ha deciso di portare in tribunale lo Iarc accusandolo di non aver preso in considerazione due studi realizzati in Germania che dimostrerebbero come il potenziale cancerogeno della sostanza sia “estramemente basso o inesistente”. Fino a prova contraria non c’è motivo di dubitarne, ma è lecito chiedersi di quanti altri Bruce Chassy e Henry Miller ci sia bisogno prima di iniziare a porsi qualche serio interrogativo sui legami tra scienza, grande industria e informazione.

Andrea Cascioli

Fonte: www.slowfood.it

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