Covid19

Covid-19: parliamo di test, analisi e vaccini. Quale futuro ci aspetta?

Covid-19: parliamo di test, analisi e vaccini. Quale futuro ci aspetta?

Da qualche giorno inizia ad affacciarsi nella discussione pubblica sulle misure per contrastare l’emergenza “Covid-19”, la teoria del “patentino d’immunità”.

Ho atteso un po’ per rendere pubbliche alcune riflessioni in merito, purtroppo però da ciò che si vede la concretezza dell’ipotesi sembra confermata…. Perché dico purtroppo? Di primo acchito alcune persone potrebbero ritenere che questa idea della verifica dell’immunità delle persone ad un virus sia ottimale, una risposta alle misure di quarantena; eppure…

Partiamo da un presupposto: attualmente nessuno sa con certezza nulla al riguardo dell’immunità acquisita da questo "virus".

Sarà un’immunità permanente? Non si sa.
Quanto potrà durare l’eventuale immunità acquisita da Sars-COv-2 non è stato stimato con ragionevole certezza. Ciò che è stato invece confermato è che - come tutta la famiglia Coronavirus - anche questa variante è suscettibile a mutazioni piuttosto importanti: “The genotyping analysis shows that the genes encoding the S proteins and RNA polymerase, RNA primase, and nucleoprotein, undergo frequent mutations. These mutations are critical for vaccine development in disease control. “
https://arxiv.org/abs/2003.10965

É evidente che questa incertezza relativa all’immunità acquisita sia fondamentale nel rendere assurda la disquisizione sul patentino d’immunità.
Qualche domanda che mi sorge spontanea: essere immuni significa cessare di essere portatori sani? Chi lo ha deciso? Dove è dimostrato?
Un individuo, di prassi, può essere immune ad una malattia, perché incontrandola ha acquisito naturale immunità in maniera sintomatica o asintomatica, giusto?
Ebbene, quando sarebbe stato stabilito in maniera inequivocabile che una volta acquisita questa immunità io cesserei di veicolare il tal virus, nel caso lo incontrassi? Chi ha detto che il virus smetterebbe di “albergare” nel mio organismo?
Perché se questo fatto non è dimostrabile, e non lo é, siamo di fronte ad un delirio isterico.
L’immunità acquisita da un virus consente al mio organismo di riconoscerla e di non sviluppare più la malattia quando vi entrerò nuovamente in contatto: non è uno scudo che mi impedisce di entrare in contatto con lo stesso!!!
Di cosa stiamo blaterando?

"Un soggetto si può definire portatore sano quando è stato contaminato da un agente patogeno ed ospita il patogeno senza però presentare alcuna patologia: si tratta di solito di soggetti immunologicamente resistenti (di solito grazie ad una immunità acquisita precedentemente), nei quali i microrganismi vivono come saprofiti, ma che possono infettare persone vicine, ad esempio se queste ultime sono meno resistenti"

Ma cerchiamo di fare un passo indietro, perché prima ancora di discutere a livello tecnico-scientifico della (NON)validità di questa proposta, è secondo me fondamentale fare un ragionamento di tipo “filosofico”: a cosa stiamo andando incontro sdoganando tale ipotesi? Stiamo davvero iniziando a discutere di rilasciare una sorta di “certificato di immunità” per consentire o meno alle persone di vivere nel mondo come individui “normali”?
Stiamo davvero valutando, in questi giorni, di poter limitare le libertà personali, di movimento, di godimento di beni e servizi, subordinandole all’immunità da un virus???
A me sembra un’assurda e paranoide distopia ipocondriaca, ma devo prendere atto che, purtroppo, a questi deliri si sta dando molto spazio sui media: leggiamo ormai ogni giorno dichiarazioni sul merito di questa innovativa strategia…dove vogliamo arrivare?

Vogliamo forse introdurre (ed accettare) l’idea che gli individui, le persone, debbano dimostrare di essere immuni ad un qualche patogeno per poter avere il diritto a circolare liberamente? Oggi il Coronavirus e domani chissà cos’altro? Solo a me vengono i brividi a pensare a tutto questo come possibilità reale? Ci rendiamo conto delle implicazioni?



Ma stiamo già andando oltre con le atrocità ipocondriache, prendiamo ad esempio la mania del tampone: "devi fare il tampone" e così dimostrare di essere - o non essere - portatore del virus, in un determinato momento. Questo sta già accadendo, e si reclama il ricorso ai tamponi nasofaringei a tutto spiano sulla popolazione.
Si sottovalutano bazzecole come l’affidabilità del test, perché cribbio, siamo in emergenza! Così, si lede la possibilità di rifiutare di sottoporsi ad un’analisi medica (e il diritto alla privacy) nel nome di un test che, vista l’emergenza, non importa se fornisce potenziali falsi positivi o falsi negativi, né in che percentuale!!

Ad esempio In questo articolo si cita una % preoccupante di inattendibilità dei test i uso (cosiddetti “tamponi”). 


Dunque, stiamo valutando strategie politiche, sociali, sanitarie, non supportate da una sufficiente attendibilità scientifica. 



Ovviamente, tutto quanto sopra riportato apre ad una logica necessità di andare molto, ma molto, cauti sul ricorso ad un vaccino contro questa “malattia”: se non ho dati affidabili sulla velocità di mutazione e sui sierotipi circolanti, se non ho dati attendibili sulla persistenza dell’eventuale immunità acquisita, come posso prevedere l’efficacia di un vaccino? E questo, in che modo influenza l’accettabilità di una valutazione pressoché nulla delle reazioni avverse, della sicurezza di un vaccino? Perché un altro aspetto fondamentale su cui non abbiamo soprassedere è proprio la sicurezza di un ipotetico vaccino (che secondo le ultime notizie sarebbe già in fase di test sugli esseri umani). Già sono numerose le dichiarazioni ufficiali sul fatto che in questo caso si rendono necessari tempi molto ristretti di sperimentazione, il che ovviamente pregiudica proprio i test pre-clinici sulla sicurezza, quegli stessi test che fino a poco tempo fa ci assicuravano richiedere di norma "lunghissimi tempi di sperimentazione" per i vaccini. Fino a ieri, dinanzi alle richieste di evidenza scientifica sulla sicurezza di questi farmaci, ci veniva detto che essa veniva garantita da anni di studi, mentre oggi Villani ci informa che gli anni di sperimentazione sono "normalmente" due: “Normalmente – ha ricordato – occorrono almeno due anni per mettere a punto un vaccino, in questa occasione i tempi non saranno sicuramente quelli” 
. Con quali implicazioni?

Insomma, urge a mio avviso un’estrema cautela nelle varie proposte di cui leggiamo in questi giorni: 

- il ricorso indiscriminato a strumenti diagnostici non “sicuri”

- la paventata necessità di subordinare in qualche modo la ripresa di una parvenza di normalità delle persone ad una ipotetica “immunità”

- l’invocazione di un vaccino con i presupposti di cui sopra. 



Come sempre, non ci resta che vigilare sull’evolvere dei fatti, tenendo bene a mente che qualsiasi delazione rispetto ai diritti civili e costituzionali rischia di essere permanente.

Corvelva

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