Anche quest'anno il cancro rimane in cima nelle cause di morte dei paesi occidentali in un nefasto testa a testa con le malattie cardiovascolari. La lista prosegue con malattie respiratorie, suicidi, armi da fuoco, incidenti e così via. Nonostante i progressi della medicina, la classifica è rimasta pressoché stabile da anni. Eppure, mentre controllavo alcuni articoli sull'argomento, sono stato sorpreso da un'osservazione di comparsa qualche tempo fa sul British Medical Journal: se gli errori medici fossero una malattia occuperebbero il terzo posto di questa ingloriosa classifica. Secondo una analisi della John Hopkins, solo negli solo negli Stati Uniti gli errori medici causano più 250mila morti l'anno su un totale di circa 2,6 milioni di decessi. Le stime cambiano sensibilmente in studi differenti, ma è prudente dire che gli errori medici causino centinaia di migliaia di morti ogni anno in tutto il mondo. I dati sugli errori medici in Italia scarseggiano, come notato da Walter Riccardi in una ricerca del 2015. In scienza, l'assenza dell'evidenza non è una evidenza dell'assenza, e il buon senso suggerisce che l'Italia non faccia eccezione fino a prova contraria.
È bene intendersi sulla definizione di errore medico, che gli autori dello studio della John Hopkins definiscono in questo modo: "Un atto terapeutico non intenzionale (azione o omissione) che non raggiunga il risultato preposto, un errore di esecuzione o di pianificazione della terapia o una deviazione dal programma di cura che possa causare o meno un danno al paziente". Gli errori medici sono quindi differenti dal rischio di complicanze che si accompagna inevitabilmente a qualsiasi procedura o terapia medica.
Alcuni errori sono ovvi (per esempio la somministrazione di una terapia sbagliata, una trasfusione con gruppo sanguigno non compatibile, una diagnosi mancata a fronte di chiare evidenze diagnostiche). In molti casi, però, è difficile distinguere il singolo errore umano da una successione complessa di eventi che accompagna una malattia. Immaginiamo per esempio il caso di un paziente con numerose altre patologie fisiche o mentali, senza supporto familiare o economico, o di un ospedale con limitate risorse di mezzi e personale. Inoltre, il sistema di codifica attualmente in uso per catalogare le cause di morte non permette un'identificazione univoca degli errori medici e quindi le stime di cui disponiamo sono poco accurate e probabilmente al ribasso.
Ho deciso di parlarne consapevole del rischio indurre una miope caccia alla strega verso un sistema sanitario che in Italia, dati alla mano, è in larga parte eccellente, efficiente e garantisce un adeguato accesso pubblico. Spero non accada anche perché si tratta di un problema globale. Ci sono invece almeno due buone ragioni, apparentemente in contrasto, per cui dovremmo avere il coraggio di affrontare il problema degli errori medici. La prima è che l'errore umano è inevitabile. Ogni attività umana, in particolare un'attività complessa come la medicina, ha un rischio ineliminabile di errore umano. In altre parole "sparare" al responsabile di un singolo errore non eviterà che succeda ancora. La seconda è che, più del 50% di queste morti sono potenzialmente evitabili. Abbiamo quindi un obbligo morale di cercare di ridurre il più possibile l'impatto dell'errore umano all'interno dei nostri percorsi di cura.
Conciliare questi due aspetti - l'ineluttabilità e la prevenzione dell'errore - è un esercizio faticoso che richiede la trasformazione della cultura della colpa individuale (o del capro espiatorio) nella cultura della sicurezza. Per spiegare il concetto riporto un esempio che Guido Tonelli riporta nella sua libro "La nascita imperfetta delle cose". Al Cern, l'acceleratore di particelle di Ginevra nonché la macchina più complessa mai costruita dall'uomo, chi fa un errore e lo riporta subito viene premiato. Per quanto possa sembrare paradossale, ciò permette di porre rimedio quando le chances d'intervento sono più alte e con maggiore efficacia perché tutte le competenze migliori si focalizzeranno per risolvere l'errore. Non solo, sarà possibile comprendere perché l'errore sia accaduto e come evitare che si ripeta.
Ogni errore succede infatti non solo per colpa di una persona, ma per il fallimento di un intero processo che non ha messo in campo adeguati strumenti per evitare che l'errore accadesse. Per esempio, se per somministrare una terapia è necessaria una doppia identificazione con un collega o l'utilizzo di un sistema elettronico che si basa su codice a barre, diventa più difficile sbagliare terapia. Similmente se un caso viene discusso all'interno di un consulto multidisciplinare di specialisti è più probabile che vengano identificati errori diagnostici o terapie inadeguate.
Una tradizione degli ospedali anglosassoni che lentamente si sta diffondendo è quella dell'M&M, ovvero del morbidity and mortality meeting dove si discute delle complicanze e dei decessi avvenuti nel proprio dipartimento. Sono riunioni dove con assoluta tranquillità e trasparenza si analizza la storia del paziente e si cerca di capire cosa non abbia funzionato. A volte ci si accorge che non si sarebbe potuto fare altrimenti, altre volte si decide di cambiare una procedura. Questi meeting insegnano che nessuno è esente dal rischio di sbagliare e che siamo tutti responsabili del miglioramento continuo della cura dei pazienti. Certamente ci sono ulteriori angoli di lettura di questo problema che includono il ruolo del sistema legale e delle cause risarcitorie, del management ospedaliero, del training dello staff medico e paramedico e dell'accesso alle cure. La soluzione, ammessa che ce ne sia una, non è dietro l'angolo per nessuno. Calato nella realtà italiana, penso che questo studio ci ponga di fronte ad alcune iniziative da prendere. Sarebbe per esempio utile quantificare e comprendere meglio il fenomeno degli errori medici nel servizio sanitario. Il raggiungimento di questo obiettivo potrebbe essere una occasione preziosa per promuovere la cultura positiva della trasparenza e combattere attivamente quella negativa e inconcludente del capro espiatorio. Il vantaggio per chi porta avanti ogni giorno con dedizione il nostro sistema sanitario nazionale sarebbe quello di poter lavorare con responsabilità e serenità alla prevenzione degli errori piuttosto che nella paura di commetterne uno. Il beneficio per i pazienti sarebbe quello di poter contare su una sanità che, in modo sistematico, riconosce tempestivamente gli errori, li affronta e ne fa memoria.
Puoi trovare l'articolo a cui fa riferimento questo post in:
Makary, Martin A, and Michael Daniel. 2016. "Medical Error{\textemdash}the Third Leading Cause of Death in the US." BMJ 353. BMJ Publishing Group Ltd. doi:10.1136/bmj.i2139.
Specchia ML, Cadeddu C, Lovato E, Capizzi S, Ferriero AM, Veneziano M, Mancuso A, Ricciardi W. Burden of medical errors in Italy: an analysis of the literature Ig Sanita Pubbl. 2015 Jul-Aug;71(4):405-17.