Massime sentenze

Massime sentenze

Corte Assise di Firenze, 18/10/1990 (il c. d. caso Massimo)
Il consenso informato è specifico e vincolante
Risponde di omicidio preterintenzionale il primario chirurgo ospedaliero il quale, nel sottoporre un'anziana paziente ad intervento operatorio, anziché realizzare la programmata asportazione transanale di un adenoma villoso, abbia senza previo consenso e in assenza di necessità ed urgenza terapeutica proceduto all'asportazione totale addomino-perineale del retto, provocando a due mesi di distanza il decesso della donna quale conseguenza dell'intervento estremamente traumatico e cruento.


Cass. Civ., sez. III, 8/07/1994, n. 6464
Il medico risponde dei danni conseguenti alla violazione per negligenza del dovere di una completa informazione

La disposizione dell’art. 2236 del CC, che nei casi di prestazioni che impli-chino la soluzione di problemi tecnici particolarmente diffici-li, limita la responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave, non trova applicazione per i danni ri-collegabili a negligenza o imprudenza, dei quali il profes-sionista, conseguentemente, risponde anche solo per colpa lieve. Pertanto il medico risponde dei danni conseguenti al-la violazione, per negligenza, del dovere di informazione del paziente sui possibili esiti dell’intervento chirurgico, al quale egli è tenuto in ogni caso, e in special modo in quel-lo di interruzione volontaria della gravidanza, in cui il dirit-to della paziente all’informazione è espressamente sancito dall’art. 14 della legge n. 194/1978 (il medico ospedaliero non aveva informato la paziente, sottoposta a intervento abortivo, del possibile esito negativo dell’intervento e della conseguente necessità di un controllo istologico per l’accer-tamento di tale esito, determinando il disinteresse della pa-ziente che solo quando l’intervento abortivo non poteva es-sere più ripetuto si è accorta dell’insuccesso e si è trovata nella necessità di portare a termine la gravidanza indeside-rata).


Cass. civ., sez. III, 15/01/1997, n.364
Il medico non può agire senza il consenso informato che va esteso a ogni singola fase, alle varie alternative e ai rischi
Nell'ambito degli interventi chirurgici condotti in "equipe", il medico non può intervenire senza il consenso informato del paziente, e, se le singole fasi assumono un'autonomia gestionale e presentano varie soluzioni alternative, ognuna delle quali comporti rischi diversi, il suo dovere di informazione si estende anche alle singole fasi e ai rispettivi rischi.


Cass. civ., sez. III, 24/09/1997, n.9374
In ospedale in caso di mancato consenso sussiste la responsabilità dell’ente

In ospedale in caso di mancato consenso sussiste la responsabilità dell’ente
Nel caso in cui dall'esecuzione, ancorchè prudente, diligente e tecnicamente corretta, di un intervento chirurgico o di un accertamento diagnostico invasivo, derivi un danno o addirittura la morte del paziente, non informato dai medici, (nella specie dipendenti da azienda ospedaliera) dei rischi gravi per la vita o l'incolumità fisica a cui poteva andare incontro, al fine di prestare il necessario consenso a procedervi, sussiste la responsabilità dell'ente, anche nel caso che non sia stato individuato il medico a cui incombeva tale obbligo.


Cassazione sez.III civile sentenza 9705 del 6 ottobre 1997
per un consenso informato valido è necessario che il professionista informi il paziente dei benefici, delle modalità dell’intervento, delle eventuali possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e, infine, dei rischi prevedibili in sede operatoria, ma ciò non significa che debba addentrarsi nei dettagli della tecnica prescelta e, quindi, informare il paziente di variazioni sul piano operativo del programma operatorio, ferma restando la tecnica concordata.


Pret. Lecce, 04/02/1998
I principi sui quali si basa la libertà terapeutica di medico e ammalato
L'esercizio della libertà terapeutica del medico e dell'ammalato deve esser basato sui seguenti presupposti. 1 - necessità terapeutica per particolare gravità della malattia; 2 - inefficacia di terapia consolidata tradizionale; 3 - ragionevolezza del tentativo terapeutico alternativo - innovativo; 4 - diretta e responsabile prescrizione del medico di fiducia; 5 - consenso informato del paziente: 6 - non dannosità dei farmaci prescritti, presupposti che sono coerenti con i precetti del codice di deontologia medica, così deliberati dal Comitato Nazionale per la Bioetica, e con la funzione sociale del diritto.


Trib. Milano, sez. VII, 14/05/1998, n. 5510
Il consenso informato è personale e se il paziente è capace di intendere e volere il parente non può prendere decisioni in sua vece
(...) un familiare del paziente, per quanto abbia una prossimità maggiore rispetto al medico con la persona del paziente, non può assurgere alla figura di nun-cius della sua volontà, se questi è capace di intendere e volere, non potendo prendere decisioni in sostituzione del diretto interessato. (...) il Tribunale non giustifica il fatto di aver ritenuto sufficiente la prestazione del consenso da parte di un parente, il qua-le non aveva alcun potere di sostituirsi alla persona legittimata ad assentire interventi sul proprio corpo.


Pretura Treviso, 29/04/1999
Il diritto al rifiuto delle cure
Il soggetto ha diritto di avvalersi come di rifiutare le cure che il medico gli prospetta; esiste cioè un diritto di non curarsi anche se tale condotta espone il soggetto al rischio della vita. (...). Nel caso in esame, il paziente aveva chiaramente espresso il proprio dissenso al ricovero e a ulteriori terapie. (...) Dall’esame degli atti risulta che fu fornita a M. un’informazione sufficiente quanto ai pericoli derivanti dalla sua decisione (...) emerge che fu fornita un’informazione corretta sui rischi con-seguenti alla mancanza di terapie e ricovero, che M. era consapevole delle conseguen-ze della mancanza di cure (...) è altresì utile sottolineare che l’incapacità deve essere riconosciuta o riconoscibile dal medico, con tutte le conseguenze in caso di errore scusabile (...) nel caso in esame il M. (..) appariva in stato di capacità di intendere e di volere al momento del fatto (...)


Cass. civ., sez. III, 16/05/2000, n.6318
Il dovere del medico di informare anche sulla situazione ospedaliera, la cui omissione si configura come negligenza grave

La responsabilità e i doveri del medico non riguardano solo l'attività propria e dell'eventuale "equipe" che a lui risponda, ma si estende allo stato di efficienza e al livello di dotazioni della struttura sanitaria in cui presta la sua attività, e si traduce in un ulteriore dovere di informazione del paziente. Il consenso informato - personale del paziente o di un proprio familiare - in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivi, non riguardano soltanto i rischi oggettivi e tecnici in relazione alla situazione soggettiva e allo stato dell'arte della disciplina, ma riguardano anche la concreta, magari momentaneamente carente situazione ospedaliera, in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature, e al loro regolare funzionamento, in modo che il paziente possa non soltanto decidere se sottoporsi o meno all'intervento, ma anche se farlo in quella struttura ovvero chiedere di trasferirsi in un'altra. L'omessa informazione sul punto può configurare una negligenza grave, della quale il medico risponderà in concorso con l'ospedale sul piano della responsabilità civile, quindi del risarcimento del danno, ed eventualmente anche sul piano professionale, deontologico - disciplinare.


Trib. Milano, sez. I civ., 13/07/2000
Comportamento scorretto del medico nell’acquisizione del consenso
Il chirurgo ha agito in modo scorretto, per aver ottenuto il consenso del paziente quando non era nella piena capacità di intendere e di volere, essendo ancora sotto l’effetto dell’anestetico usato per effettuare l’esame di angioplastica.
Inoltre il comportamento del chirurgo era apparso oltretutto estremamente censurabile, in quanto non incontrò mai il paziente e non lo visitò mai prima di allora.
Inoltre l’operatore prima di procedere ad un nuovo intervento, dopo il risultato dell’angioplastica, avrebbe dovuto interpellare il medico di fiducia del paziente.


Trib. Milano, 21/07/2000
La responsabilità del reato di lesioni in assenza di consenso alla terapia, a maggior ragione se per terapia sperimentale
E' responsabile del reato di lesioni di cui all'art. 582 c.p. il medico che, prescrivendo la somministrazione sistematica di insulina a scopo anti-abortivo, provochi alla paziente crisi ipoglicemiche caratterizzate da stato di malessere, sofferenza e disturbi neurologici, tali da comportare l'incapacità assoluta di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di 13 giorni durante il ricovero, sulla base di una terapia applicata al di fuori di qualsiasi protocollo accettato dalla comunità scientifica e, comunque, in assenza del consenso esplicito alla terapia da parte della paziente sia sotto il profilo della terapia sperimentale sia del consenso informato alla terapia già in uso. Non può, invece, ravvisarsi, in capo al medico suddetto, la responsabilità per le lesioni gravi e con postumi permanenti occorse alla paziente, consistite in un danno neurologico conseguenza di emorragia cerebrale, dal momento che, non essendo conosciuta nella letteratura scientifica mondiale una emorragia cerebrale come conseguenza dell'ipoglicemia, non vi è prova della sussistenza del nesso causale tra le crisi ipoglicemiche, conseguenza della terapia sperimentale prescritta, ed il danno cerebrale stesso.


Trib. Monza, 07/12/2000
Il consenso informato in caso di paziente medico - Non può essere lamentata una insufficiente informazione
Nel caso in cui il paziente sia anche di professione medico e quindi in grado certamente più di un "quisque de populo" di comprendere le tecniche dell'operazione e di valutarne i rischi e le conseguenze, non può essere lamentata una insufficiente informazione sulle conseguenze del tipo di intervento chirurgico, a maggior ragione se da parte dello stesso sia stato sottoscritto il cd. "consenso informato".


Cass. pen., sez. IV, 27/03/2001, n.731
Il medico chirurgo non può agire in caso di espresso dissenso
Se si deve tener conto della finalità terapeutica della condotta del medico (che non vuole causare una malattia del corpo o della mente, ma vincerla) sicchè la liceità di tale attività non può trovare giustificanza solo nel consenso (entro ovvero oltre la categoria di cui all'art. 50 c.p., ma in coerenza con il principio da esso enunciato), resta indubbio che l'agire del chirurgo sulla persona del paziente contro la volontà di costui, salvo l'imminente pericolo di morte o di danno sicuramente irreparabile ad esso vicino, non altrimenti superabile, esita in una condotta illecita capace di configurare più fattispecie di reato, quali violenza privata (art. 610 c.p., la violenza essendo insita nella violazione della contraria volontà), lesione personale dolosa (art. 582 c.p.) e, nel caso di morte, omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.). Viene in evidenza in questi casi non già la portata e l'estensione del consenso alla manomissione del proprio corpo in presenza di finalità terapeutica di per sè scriminante (tipicizzata o meno), quanto la violazione del divieto di manomissione del corpo dell'uomo e, quindi, la violazione consapevole del diritto della persona a preservare la sua integrità fisica nell'attualità - come ora è - a nulla valendo in simile situazione il rilievo che questa possa essere, eventualmente, migliorata, e il rispetto della sua determinazione a riguardo del suo essere. Ne segue la regola secondo la quale il medico chirurgo non può manomettere l'integrità fisica del paziente, salvo pericolo di vita o di altro danno irreparabile altrimenti non ovviabile, quando questi abbia espresso dissenso.


Cass. civ., sez. III, 23/05/2001, n. 7027
Il medico, fuori di alcuni casi eccezionali, non può intervenire senza l’espresso consenso
Va premesso, in linea generale, che l’attività medica trova fondamento e giustificazione, nell’ordinamento giuridico, non tanto nel consenso dell’avente diritto (art. 51 c.p.), come si riteneva in passato, poiché tale opinione contrasterebbe con l’art. 5 c.c., in tema di divieto degli atti di disposizione del proprio corpo, ma in quanto essa stessa legittima, volta essendo a tutelare un bene costituzionalmente garantito, quale è quello della salute. Dall’autolegittimazione dell’attività medica, (...), non può tuttavia trarsi la convinzione che il medico possa, fuori da taluni casi eccezionali (...), intervenire senza il consenso, ovvero, a fortiori, malgrado il dissenso del paziente. La necessità del consenso si evince, in generale, dall’art. 13 Cost. il quale sancisce l’inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve ritenersi inclusa la libertà di salvaguardare la propria salute e la propria integrità fisica (...). Ma è soprattutto rilevante in materia l’art. 32 Cost., per il quale “Nessuno può essere sottoposto a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (la quale) non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. In particolare, poiché il consenso per essere “informato” presuppone una specifica e particolareggiata informazione, nessun dubbio può esserci su chi sia tenuto a fornirla: “non può provenire che dal sanitario che deve prestare la sua attività professionale. Tale consenso implica la piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”.


Cass. pen., sez. IV, 11/07/2001, n.1572
Senza il consenso informato il trattamento medico-chirurgico è arbitrario con rilevanza penale
La mancanza del consenso (opportunamente "informato") del malato o la sua invalidità per altre ragioni determina l'arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto compiuto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo. (In motivazione, la Corte ha precisato che alla regola del necessario consenso della persona che deve sottoporsi al trattamento sanitario, fanno eccezione le ipotesi di trattamenti obbligatori "ex lege", ovvero quelle in cui il paziente non sia in condizione di prestare il proprio consenso o si rifiuti di prestarlo e l'intervento medico risulti urgente e indifferibile).


Trib. Palermo, 25/07/2001
Il diritto del paziente all’autodeterminazione - delitto doloso quando il medico interviene arbitrariamente
In condizioni non necessitate dell’urgenza, ciascuno ha diritto ad au-todeterminarsi accedendo alle scelte che ritiene più confacenti ai suoi bisogni, po-tendo giungere, persino, alla scelta di non sottoporsi a cure, ed in questo caso il sanitario non può agire senza ottenere preventivamente un valido consenso infor-mato e deve rispondere di un delitto doloso, quando intervenga arbitrariamente. Di conseguenza, risponde -quantomeno- del reato di violenza privata il sanitario che operi senza che il paziente abbia rilasciato un consenso informato, salva l’ulteriore responsabilità anche a norma dell’art. 586 c.p., ove l’intervento abbia esito infausto o comunque dannoso per il paziente.


Trib. Napoli, 12/10/2001
L’onere della prova di mancato consenso incombe sul paziente
L'onere della prova del mancato assolvimento del dovere di informazione da parte del medico (consenso informato) incombe sul paziente, che agisca in giudizio per ottenere l'affermazione di responsabilità del chirurgo.


Cass. pen., sez. I, 29/05/2002, n.528
L’assenza di consenso e la responsabilità del medico
Malgrado l'assenza di un consenso informato del paziente - e sempre che non sussista un dissenso espresso dello stesso al trattamento terapeutico prospettato - deve escludersi che il medico sia penalmente responsabile delle lesioni alla vita o all'intangibilità fisica e psichica del paziente sul quale ha operato in osservanza delle leges artis, poiché l'attività terapeutica, essendo strumentale alla garanzia del diritto alla salute previsto dall'art. 32 Cast, e autorizzata e disanimata dall'ordinamento ed e quindi scriminatura da uno «stato di necessita» ontologicamente intrinseco, senza che sia necessario fare riferimento alle cause di giustificazione codificate.


Cass., sez.IV, 5/11/2002, n. 1240
In mancanza di informazione il consenso è viziato
Nell'ipotesi in cui, per negligenza o per imprudenza, il chirurgo ometta di informare adeguatamente il paziente circa i rischi cui va incontro, il consenso è viziato (cioè non valido in quanto il paziente non è stato adeguatamente informato).


Trib. Brescia, sez. III, 27/11/2003
Senza il consenso o in caso di consenso viziato il trattamento medico-chirurgico è arbitrario con rilevanza penale e risvolti civili
La mancanza del consenso del paziente o la sua invalidità rende illecito il comportamento tenuto dal medico il quale risponde sia penalmente che civilmente di tutti i danni patiti dal malato. In condizioni non necessitate dall'urgenza ciascuno ha il diritto ad autodeterminarsi accedendo alle scelte che ritiene più confacenti ai suoi bisogni, potendo giungere, persino, alla scelta di non sottoporsi a cure, ed in questo caso il sanitario non può agire senza ottenere preventivamente un valido consenso informato e deve rispondere di un delitto doloso quando intervenga arbitrariamente. Di conseguenza risponde - quanto meno - del reato di violenza privata il sanitario che operi senza che il paziente abbia rilasciato un consenso informato, salva l'ulteriore responsabilità anche a norma dell'art. 586 c.p. ove l'intervento abbia esito infausto o comunque dannoso per il paziente. (Nella fattispecie era stato dato il consenso solamente all'amniocentesi e non alla, diversa, "villocentesi" dalla quale era derivata la morte del feto).


Trib. Brescia, sez. III, 31/12/2003
Espletata la fase diagnostica sorge il dovere del chirurgo di informare dell’eventuale trattamento terapeutico e l’omessa informazione ne comporta una responsabilità contrattuale
Qualora l'attività professionale del medico presupponga due fasi, l'una, preliminare, diagnostica, finalizzata alla raccolta dei dati sintomatologici., l'altra, conseguente, terapeutica (ed è in tale contesto che si inserisce l'indicazione chirurgica) è evidente che la corretta informazione del paziente risulta funzionale a consentire allo stesso di autodeterminarsi consapevolmente nel processo decisionale di adesione al trattamento terapeutico proposto. Ne consegue che solo espletata la fase diagnostica sorge il dovere del chirurgo di informare il paziente sulla natura e sugli eventuali pericoli dell'intervento terapeutico (e, se del caso, operatorio). Si comprende pertanto come il dovere di informazione attenga già alla fase di esecuzione del contratto, rientrando nel complesso della prestazione dovuta; per cui la responsabilità per omessa informazione, in siffatti casi, è contrattuale, attenendo alla prestazione professionale, e non già precontrattuale. Le conseguenze di tale inquadramento non sono di poco conto perché se l'obbligo di informazione viene ricondotto nell'ambito della responsabilità precontrattuale il danno conseguente è commisurato all' interesse cd. negativo (costituito sia dalle spese inutilmente effettuate in vista della conclusione del contratto che della perdita di occasioni vantaggiose ossia della possibilità di stipulare contratti ugualmente o più vantaggiosi) mentre se viene a configurarsi come responsabilità contrattuale il danno si estende all'interesse cd. positivo e pertanto comprendere anche il cd. danno biologico, quale danno da lesione al bene-salute. Bene la cui preservazione deve essere garantita dal medico che, non avendo acquisito il necessario consenso informato, si assume interamente il rischio dell'insuccesso e delle complicanze, prevedibili e non, salvi i limiti di cui all'art. 1218 c.c..


Cass. pen. sez. VI, 15/04/2004, n. 606
Consenso informato e abusivismo
Non può considerarsi valido il c.d. « consenso informato», prestato dal paziente, ad un complesso intervento medico-chirurgico (nella specie, intervento di implantologia odontoiatrica), qualora lo stesso sia stato indotto in errore circa le qualità dell'operatore, non abilitato ad esercitare la professione medica, indipendentemente dalle sue effettive o presunte capacità professionali. (La Corte ha annullato con rinvio la sentenza d'appello nella parte che escludeva, in quanto non sussistente, il reato di cui all'art. 590 c.p. e rideterminando la pena per il reato di abusivo esercizio di una professione, ex art. 348 c.p.).


Trib. Venezia, sez. III Civile, 24/06/2004
Modalità di raccolta del consenso
Il consenso deve essere il frutto di una relazione interpersonale tra i sanitari ed il paziente, sviluppata sulla base di un’informativa coerente allo stato, anche emotivo, ed al livello di conoscenze di quest’ultimo. La conformità della condotta dei sanitari rispetto all’obbligo di fornire un adeguato bagaglio di informazioni deve essere valutata non tanto sul piano tecnico-operatorio, quanto sulla natura dell’intervento, sull’esistenza di alternatitive praticabili, anche di tipo non cruento, sui rischi correlati e sulle possibili complicazioni delle diverse tipologie di cura tali da compromettere il quadro complessivo del paziente, segnando il passaggio dalla fase dell’assenso a quella del consenso, ossia del convergere delle volontà verso un comune piano di intenti.


Trib. (Decr.) Modena, 28/06/2004
Il consenso informato dell’amministratore di sostegno in caso di dissenso del paziente può essere autorizzato dal giudice

L'amministratore di sostegno può essere autorizzato dal giudice ad esprimere il consenso informato ad un intervento chirurgico necessario ed improcrastinabile sulla persona del beneficiario, che lo rifiuti adducendo convinzioni e motivazioni deliranti, qualora tale intervento sia necessario per evitare danni permanenti, e l'interessato non sia in grado - a causa della sua patologia (psicosi cronica con esacerbazione acuta) - di esprimere una autonoma e cosciente valutazione critica della malattia e delle conseguenze del rifiuto di sottoporsi a trattamento terapeutico.


Trib. Reggio Emilia, 20/07/2004
Importanza dell’informazione nel consenso
Dalla peculiare natura del trattamento sanitario volontario scaturisce al fine di una valida manifestazione di consenso da parte del paziente, la necessità che il professionista lo informi dei benefici, delle modalità di intervento, dell'eventuale possibilità di scelta tra tecniche operatorie diverse e, infine, dei rischi prevedibili in sede post operatoria. La violazione del dovere di informazione, in altri termini, qualifica come danno alla integrità fisica gli esiti, ancorché inevitabili, dell'intervento di chirurgia cui taluno si sia volontariamente sottoposto senza tuttavia, essere stato informato degli esiti stessi. E poiché il paziente fa valere la responsabilità contrattuale del medico, incombe a quest'ultimo l'onere di provare di avere adempiuto le obbligazioni nascenti dal contratto d'opera, compreso l'obbligo di informazione che, derivando da una norma di rilevanza costituzionale volta a tutelare il diritto primario della persona, ha natura autonoma e non accessoria o strumentale.


Cass. civ., sez. III, 30/07/2004, n.14638
Per l’acquisizione del consenso dovere di informazione dell’efficienza e dotazioni della struttura sanitaria
Nel contratto di prestazione d'opera intellettuale tra il chirurgo ed il paziente, il professionista, anche quando l'oggetto della sua prestazione sia solo di mezzi, e non di risultato, ha il dovere di informare il paziente sulla natura dell'intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, sia perché violerebbe, in mancanza, il dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.), sia perché tale informazione è condizione indispensabile per la validità del consenso, che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, senza del quale l'intervento sarebbe impedito al chirurgo tanto dall'art. 32 Cost., comma secondo, (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dall'art. 13 della Costituzione, (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dall'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (che esclude la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 c.p.). L'obbligo d'informazione, che si estende allo stato d'efficienza e al livello di dotazioni della struttura sanitaria in cui il medico presta la propria attività, riguarda i soli rischi prevedibili e non anche gli esiti anomali, e si estende varie fasi degli stessi che assumono una propria autonomia gestionale, e, in particolare, ai trattamenti anestesiologici. In ogni caso, perché l'inadempimento dell'obbligo d'informazione dia luogo a risarcimento, occorre che sussista un rapporto di casualità tra l'intervento chirurgico e l'aggravamento delle condizioni del paziente o l'insorgenza di nuove patologie. (Nella specie, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda dell'attore che assumeva danni subiti per una inadeguata manovra d'intubazione nel corso di un intervento chirurgico per artoprotesi all'anca, facendo valere la responsabilità del chirurgo per mancanza di consenso informato in relazione al trattamento anestesiologico, dal quale sarebbe derivato il danno fonetico; nell'occasione, la Corte di Cassazione ha reputato corretta la sentenza d'appello che, confermando la decisione di primo grado, aveva escluso la sussistenza del nesso di causalità tra il trattamento d'intubazione orotracheale e la disfonia che aveva colpito il ricorrente).


Trib. Venezia sez. III, 04/10/2004
L’informazione deve essere completa e circostanziata
Lede il diritto di autodeterminazione del paziente in ordine alla propria salute, ed è conseguentemente tenuta a risarcire il danno esistenziale ex art. 2059 c.c., la struttura sanitaria che, pur avendo fatto sottoscrivere al ricoverato il modulo per il consenso informato, non fornisce adeguate informazione in merito ai rischi ed alle eventuali complicazioni correlabili all'intervento chirurgico, in relazione anche alla natura dell'operazione e al livello culturale ed emotivo del paziente. L'onere probatorio relativo all'adempimento contrattuale dell'obbligo di informazione incombe ex artt. 1218 e 1176 c.c. sulla struttura sanitaria, anche in considerazione del fatto che, all'epoca dei fatti, quest'ultima era tenuta a conservare i dati personali del paziente ai sensi della legge 675 del 1996.


App. Napoli, 01/02/2005, n. 242
Responsabilità da mancato consenso anche se l’intervento è stato eseguito correttamente
Il sanitario è responsabile per i danni derivanti dall'intervento effettuato in difetto del consenso informato anche nel caso in cui l'intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto.


Trib. Milano, 25/02/2005, n. 2331
Importanza di una informazione accurata nell’acquisizione del consenso
In presenza di una dichiarazione sottoscritta dal paziente, contenente tutte le informazioni del caso e dunque attestante che le informazioni ricevute sono idonee, complete, chiare e perfettamente intelligibili dal paziente, l’onere della prova gravante sul medico deve ritenersi assolto.
Certamente non vi sono limiti normativi per l’astratta ammissibliltà della prova testi-moniale diretta a contrastare le circostanze risultanti dal modulo. Tuttavia è rimesso al giudice il giudizio sulla rilevanza della prova testimoniale, ovvero sulla sua idoneità a comprovare circostanze diverse rispetto a quelle contenute nel documento sottoscritto dal paziente (a parte ogni successiva ulteriore valutazione circa l’attendibilità della testi-monianza medesima). Ebbene, ritiene questo Giudice [...] la completezza e l’intelligibilità delle dichiarazioni contenute nel modulo, sottoscritto liberamente dal paziente, compro-vano di per sé l’adempimento dell’obbligo di informazione gravante sul medico. Nella fattispecie concreta si è verificato esattamente l’evento previsto nella dichiara-zione del consenso informato: [...] diminuita sensibilità o alterazione della sensibilità a carico della mucosa delle labbra” [...]
Secondo il giudice la sottoscrizione del modulo implica quindi che l’attore abbia effettivamente “compreso le informazioni” ricevute e le “opportune spiegazioni” del caso, confermando la propria accettazione del programma clinico pro-postogli; del resto tale dichiarazione precede immediatamente la sottoscrizione.
In questo caso il Tribunale ha ritenuto non violato il diritto di autodeterminazione del paziente sulla base del solo modulo da questi sottoscritto.


Trib. Milano, 29/03/2005, n. 3520
La modulistica prestampata nel consenso informato
Il modulo, così come formulato, non è in alcun modo idoneo a ritenere assolto da parte dei medici l’onere di informazione. Infatti esso è sintetico, non dettagliato, e indica solo genericamente che la paziente sarà sottoposta ad un intervento chirurgico. In esso non si indica affatto di quale intervento si tratti e, pur facendosi menzione dei “benefici, dei rischi, delle procedure addizionali o diverse” che possano rendersi necessarie a giudizio del medico, non si precisa quali siano i rischi specifici, ovvero le diverse possibili procedure, di tal ché, non può ritenersi che il paziente, anche solo dalla semplice lettura ditale modulo, possa avere compreso effettivamente le modalità ed i rischi connessi all’intervento, in modo da esercitare consapevolmente il proprio diritto di autodeterminarsi in vista dello stesso.
Il Giudice ha quindi ammesso la prova per testi e l’audizione del medico; tuttavia, dato il tempo trascorso, nessuno ricordava esattamente la vicenda, per cui il Tribunale ha deciso solo sulla base del modulo predetto; essendo quest’ultimo inidoneo il Tribunale ha concluso dichiarando la responsabilità del medico e dell’azienda ospedaliera per violazione del diritto di autodeterminazione della paziente.


Trib. Milano , 29/03/2005
Mancato consenso e intervento eseguito correttamente
Il principio consolidato in giurisprudenza secondo cui il medico non può più intervenire sul paziente senza averne ricevuto prima il consenso non ha per oggetto un atto puramente formale e burocratico, ma è la condizione imprescindibile per trasformare un atto illecito (la violazione dell'integrità psico-fisica) in un atto lecito. Da ciò consegue che la mancata richiesta del consenso effettivo informato deve valutarsi quale autonoma fonte di responsabilità in capo ai medici per lesione del diritto costituzionalmente protetto di autodeterminazione, la cui lesione da luogo ad un danno non patrimoniale. Tuttavia nelle ipotesi in cui all'esito dell'intervento cui non sia stato dato il consenso informato da parte del paziente (o in cui tale consenso sia stato prestato per un intervento eseguito con modalità diverse da quelle previste), in assenza di colpa medica, non consegua alcun pregiudizio alla salute del paziente, ma anzi un miglioramento delle sue condizioni psico-fisiche, la lesione del diritto all'autodeterminazione produce sì un danno non patrimoniale seppure ontologicamente trascurabile o comunque di entità economica non apprezzabile.


Trib. Monza , 29/08/2005, n. 2244
Acquisizione del consenso da parte del medico che esegue la prestazione
La formazione del consenso ( informato) presuppone una specifica informazione su quanto ne forma oggetto, che non può che provenire dallo stesso sanitario cui è richiesta la prestazione professionale e, per essere valido ed efficace, deve essere manifestato prima della effettuazione della prestazione sanitaria; invero, nell'ambito degli interventi chirurgici il dovere di informazione concerne la portata dell'intervento, le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi, in modo da porre il paziente in condizioni di decidere su l'opportunità di procedervi o di ometterlo; pertanto, sussiste la responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo di informazione e lo stesso risponde delle conseguenze dannose che derivino al paziente.


Corte d’ Appello Roma, 12/01/2006
Informazione completa e circostanziata per l’acquisizione del consenso anche se il paziente è un medico
La necessità che il professionista informi il paziente in modo corretto e completo, soprattutto con riguardo ai benefici, ai possibili inconvenienti ed ai rischi dell'intervento, non viene meno per il solo fatto che, nel caso in esame, il paziente sia anch'esso medico chirurgo, giacché l'esistenza di una informazione effettiva e corretta deve essere verificata in concreto, con riferimento alla specifica natura dell'intervento ed alla portata dei risultati conseguibili, senza che possa rilevare, a questi fini, il titolo professionale (generico) conseguito dal paziente, sempre che non risulti che a quel titolo corrispondono anche una specializzazione ed una effettiva esperienza professionale nel campo oggetto dell'intervento (nella specie, risulta invece che la P. è specialista in neuropsichiatria infantile).


Trib. Genova sez. II, 12/05/2006
L’informazione per il consenso con modulistica
In tema di prestazioni terapeutiche si ritiene non vada confuso il consenso informato con il consenso documentato e se la sottoscrizione del modulo relativo non costituisce la dimostrazione del consenso informato, anche l'assenza del prestampato firmato non vuol dire che la prestazione sanitaria sia stata carente dall'angolo visuale del diritto all'informazione. Nel caso in esame per il tipo di intervento, non erano richieste forme particolari per far constare la trasmissione dai medici alla paziente delle informazioni necessarie e sufficienti per consentirle di scegliere con una minima cognizione di causa l'atto terapeutico: sicché la relativa dimostrazione può essere fornita anche attraverso prove orali.


Cass.civ., sez. III, 14/03/2006, n. 5444
Ogni sanitario deve acquisire il consenso e la sua mancanza è un illecito sanzionabile indipendentemente dalla corretta esecuzione del trattamento

L’obbligo del consenso informato è a carico del sanitario che, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso, a nulla rilevando che la richiesta del paziente discenda da una prescrizione di altro sanitario.
[………]
La mancata acquisizione del consenso informato è un obbligo la cui violazione costituisce di per se causa di responsabilità per il medico ed è del tutto indifferente se il trattamento sia stato o meno eseguito correttamente.
Infatti la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente al fine della configurazione della condotta omissiva dannosa e della ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit della informazione, non è stato messo in condizioni di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso.


Corte d’Appello Roma, sez. II, 22/06/2006
Responsabilità da mancato consenso informato
In tema di responsabilità medica, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, ovvero per violazione dell'obbligo di informare il paziente su tutto ciò che concerne l'intervento da eseguire, compresi i rischi connessi alle possibili complicanze della fase successiva all'operazione (nella specie trattavasi di un intervento chirurgico diretto ad eliminare la stenosi della carotide sinistra, seguita da diverse complicazioni, tra cui una notevole disfonia), è irrilevante, laddove si rilevi un nesso di causalità tra l'intervento e la produzione dell'evento lesivo, la sussistenza di profili di imperizia, imprudenza o negligenza. L'ipotesi (come quella che si ravvisa nel caso in esame) di intervento chirurgico eseguito in assenza di tale consenso comporta una violazione tanto della carta Costituzionale, negli artt. 32, comma 2, in materia di libertà nella sottoposizione ad un trattamento sanitario, e 13, laddove è garantita la inviolabilità della libertà personale con riferimento alla libertà di salvaguardia della propria salute ed integrità fisica, quanto dell'art. 22 della L. n. 833/1978, il quale esclude la possibilità di eseguire interventi sanitari contro la volontà del paziente qualora questi sia in grado di prestarla.


 

Cassazione Civile, Sezione III, 19/10/2006, n. 22390
Per il trattamento diagnostico-terapeutico necessità del consenso dopo adeguata e circostanziata informazione
La condotta di corretta informazione sul trattamento sanitario, specie quando è ad alto rischio, [...], non appartiene ad un momento prodromico esterno al contratto, ma è condotta interna al ed contatto medico sanitario, ed è elemento strutturale interno al rapporto giuridico che determina il consenso al trattamento sanitario. Quando l'intervento venne eseguito (6 settembre 1988) non era in vigore la L. 30 luglio 1998, n. 281, che ottemperando alle direttive europee, riconosce al malato, quale utente del servizio sanitario, il diritto fondamentale e irrinunciabile alla adeguata informazione sulla prestazione sanitaria, e quindi al consenso informato. Ma tale norma non ha carattere innovativo rispetto al diritto all'epoca esistente in materia di garanzie della salute, operando in tal senso la garanzia del diritto alla salute, ai sensi dell'art. 32 Cost., come parametro di conformazione dei rapporti contrattuali tra medico e paziente o tra paziente e struttura sanitaria.
Si vuol dire che se il consenso ad una prestazione o atto chirurgico deve essere prestato, il contenuto del consenso deve essere necessariamente arricchito dalla previa corretta informazione sulla qualità e sicurezza del servizio sanitario e sulla adeguata previa informazione sui rischi operatori e postoperatori, anche in relazione alla efficienza della struttura sanitaria ospitante.


Tribunale di Monza, Sezione I, 25/01/2007
Responsabilità di mancato consenso informato indipendentemente dalla riuscita del trattamento
La responsabilità del sanitario e, di riflesso, della struttura per cui egli agisce, per violazione dell'obbligo del consenso informato discende dalla tenuta di una condotta omissiva dell'adempimento dell'obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza del trattamento stesso, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente .
Ai fini della configurazione di tale responsabilità, che si ritiene abbia natura contrattuale (per tutte Cass. 29.3.1978 n. 11321), appare del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, secondo l'orientamento della S.C., da ultimo ribadito con sentenza 14.3.2006 n. 5444.
Tale orientamento appare pienamente condivisibile. La responsabilità medica, nell'ipotesi di esecuzione non corretta, opera su di un piano diverso, rispetto alla responsabilità nell'ipotesi di assenza di consenso informato. Nel caso in esame, l'attore era affetto da un'ernia inguinale che non necessariamente deve essere trattata chirurgicamente. Laddove il paziente fosse stato informato dei rischi prevedibili dell'intervento, quali la sintomatologia dolorosa residuata, provocata da banali movimenti e che può protrarsi anche per parecchie ore dopo la comparsa, poteva anche decidere di non sottoporsi all'intervento.


Corte d’Appello Genova, 07/02/2007
Valore del consenso informato per accettare o no la decisione del medico
La verifica dell’esistenza del consenso informato rileva solo se l’intervento comporti dei rischi che il malato può decidere di affrontare o meno, ma quando si tratti di scegliere come impostare un intervento e quale tipo eseguire, valutando i rischi collegati all’una o all’altra situazione, è il medico l’unico tenuto a decidere.


Trib. Monza, 07/03/2007
Il risarcimento per mancato consenso
La violazione dell'obbligo di informare il paziente circa la natura e la portata dell'intervento, i rischi che potrebbe comportare, i risultati conseguibili, le potenziali conseguenza negative, le diverse procedure e le eventuali terapie alternative, non è risarcibile ipso iure, ma solo se sussiste un nesso causale tra l'intervento chirurgico ed il peggioramento delle condizioni del paziente.


Cassazione sez.III civile, 23/02/2007, n. 4211
Rifiuto trattamento sanitari. Se il paziente è incosciente prevale il dovere di cura
Il dissenso, come il consenso, deve essere inequivoco, attuale, effettivo e consapevole; conseguentemente, alla luce di questi elementi e di un dissenso espresso prima dello stato d’incoscienza conseguente all’anestesia, è lecito da parte dei sanitari domandarsi - in seguito - se il paziente voglia o meno essere trasfuso, qualora le condizioni di salute dello stesso si aggravino rendendolo in pericolo di vita.
Nelle varie situazioni configurabili nell’attuale dibattito sul tema drammatico della morte, situazioni da tenere ben distinte per evitare sovrapposizioni fuorvianti, il tema in esame riguarda appunto il rifiuto alle cure, ma non nel senso di statuire sulla legittimità del diritto di rifiutare nel caso di Testimoni di Geova le trasfusioni di sangue anche se ciò determina la morte ma,più limitatamente, di accertare la legittimità del comportamento dei sanitari che hanno praticato la trasfusione nel ragionevole convincimento che il primitivo rifiuto del paziente non fosse più valido e operante.


Corte d’Appello Roma, sez. III, 27/03/2007
Importanza della sottoscrizione del modulo di consenso
Per il consenso informato una particolare rilevanza va attribuita al modulo sottoscritto dal paziente.
L'avvenuta informazione del tipo d'intervento da parte del chirurgo (anche se correttamente modificato all'atto dell'esecuzione), risultante dal modulo d'informazione e consenso, liberamente sottoscritto dal paziente, ha implicato, nel caso specifico, la non opponibilità della prova testimoniale contro detta scrittura.


Trib.civ. Paola, 17/04/2007, n. 462
Se manca il consenso informato, il paziente va risarcito
Il risarcimento del danno può essere riconosciuto per il solo fatto dell'inadempimento dell'obbligo di esatta informazione che il sanitario è tenuto ad adempiere. Tale inadempimento da luogo al diritto al risarcimento del danno conseguente a tale specifica causa che va tenuto distinto dal risarcimento dei danni legati al tipo di intervento praticato. La paziente ha quindi diritto al risarcimento del danno per il semplice fatto che le è stato praticato un intervento senza renderla edotta delle possibili conseguenze negative.


Trib. Novara, 05/06/2007
Violazione del consenso informato per terapie chirurgiche diverse o ulteriori
La responsabilità dei sanitari operanti nel presidio ospedaliero [P.O] per violazione dell’obbligo del consenso informato, si realizza per il fatto stesso dell’omessa di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto, e quindi, a maggior ragione per l’esecuzione di terapie chirurgiche diverse o ulteriori rispetto a quelle per le quali l’informativa sia stata fornita ed il consenso prestato: ogni qual volta si verifichi, in connessione causale con il trattamento non autorizzato, un aggravamento delle condizioni di salute di partenza del paziente.
Ciò comporta che, ai fini dell’accertamento delle responsabilità per inadempimento dell’obbligo informativo, è del tutto indifferente se il trattamento esulante dal consenso sia stato tecnicamente eseguito in modo corretto.


Tribunale di Forlì, sezione dist. Cesena, 21/06/2007, n.209
Un modulo prestampato e generico non è indizio del consenso informato
Anche se l'intervento chirurgico è stato eseguito correttamente, sussiste la responsabilità (contrattuale) dei sanitari in mancanza il consenso informato, in quanto il trattamento medico prestato senza consenso viola gli artt. 32 e 13 della Costituzione.
Fermo restando che l'onere della prova di avere fornito un valido consenso informato è a carico dei sanitari convenuti, il Tribunale chiarisce che la sottoscrizione di un modulo prestampato e generico, senza riferimenti specifici al caso concreto, non costituisce nemmeno un indizio al riguardo; la sentenza è interessante anche sotto il profilo del danno: in linea con il pensiero dottrinale prevalente e costante giurisprudenza, viene affermato che, in mancanza di un consenso informato valido, è risarcibile l'intero danno subito dal paziente e non il solo danno derivante dalla violazione del diritto all'autodeterminazione.


Cass. Civ., sez. III, 06/08/2007, n. 17157
L’importanza della sottoscrizione del consenso informato
L’esclusione della responsabilità del medico può trovare fondamento, come nel caso di specie, più che sulle risultanze testimoniali e della consulenza tecnica d’ufficio, sulla firma apposta dal paziente sulla cartella clinica, in cui dichiarava formalmente di accettare l'anestesia, l'intervento e la terapia prescritta.


Trib. Monza sez.I, 09/10/2007
Importanza nel consenso di una informazione circostanziata
Laddove si ritenesse di accreditare la tesi della paziente, di non essere stata adeguatamente informata su tutti i rischi e complicanze dell'intervento, la patologia da cui era affetta era di tale gravita, che non poteva indurre a non sottoporsi all'intervento programmato. I rischi legati al trattamento erano, comunque, di gran lunga inferiori rispetto all'esito, presumibilmente infausto, in caso di mancato intervento. Peraltro, la paziente aveva sottoscritto il modulo di consenso informato nel quale era descritto l'intervento al quale sarebbe stata sottoposta: isterectomia radicale, cioè asportazione dell'utero. La natura dell'intervento è di immediata comprensione per qualsiasi donna, anche per quanto concerne le conseguenze. Nel caso di specie deve ritenersi che la signora fosse del tutto consapevole della natura dell'intervento, dei rischi e delle complicanze, anche per la sua qualifica di infermiera professionale, che opera in una struttura ospedaliera, quale ferrista in sala operatoria, il che comporta delle cognizioni mediche tali da consentirle di valutare, ancora meglio, il significato dell'intervento.


Tribunale penale di Roma, 17/10/2007, n. 2049
Quando staccare il respiratore non costituisce reato
Non è punibile il medico che, con il consenso del paziente, proceda all’interruzione della terapia di ventilazione assistita, somministrando allo stesso tempo una terapia sedativa.
Il giudice ha osservato che la condotta tenuta dal medico rientra nella fattispecie dell’omicidio del consenziente prevista dall’articolo 579 del Codice penale, ma che l’imputato non è punibile in quanto la prosecuzione della ventilazione era stata rifiutata dal paziente che aveva così esercitato il diritto di autodeterminazione rispetto ai trattamenti sanitari sancito dall’articolo 32 della Costituzione.
Nella motivazione della sentenza viene accuratamente esaminata la questione della validità del desiderio espresso dal malato di non subire ulteriormente la prosecuzione della terapia in atto e si sottolinea che il dissenso del paziente aveva tutti i requisiti prescritti in quanto manifestato con una volontà “personale, autentica, informata, reale e attuale”. In presenza di una decisa e contraria volontà del paziente, non è lecito, quindi, continuare nella somministrazione di una terapia medica, anche di sostegno vitale, come la ventilazione assistita.


Cass. Civ., sez. III, 28/11/2007, n. 24742
Responsabilità da mancato consenso - Responsabilità della Casa di cura
Il chirurgo risponde dei danni sofferti dal paziente se non l'ha informato dei rischi anche quando l'intervento è assolutamente necessario.
Inoltre la casa di cura è responsabile nel caso in cui il chirurgo si sia solo appoggiato, per l’intervento, all’azienda privata anche se il realtà era il dottore di fiducia del paziente.
Infatti il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod civ., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 cod civ., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente o comunque dal medesimo scelto (Cass. n. 13066/2004, Cass. n. 1698/2006 e Cass. 13953/2007).


Cassazione 2007, numero 21748
Diritto all’autodeterminazione e diritto alla vita: i beni tutelabili in situazione di coma vegetativo
L’esame del caso concreto consente d’individuare con facilità quali sono i diritti coinvolti, di primario rilievo costituzionale. Una giovane donna che da oltre quindici anni si trova in stato vegetativo permanente e viene tenuta in vita mediante un sondino naso-gastrico che provvede alla sua idratazione e nutrizione, non avendo alcuna capacità di relazionarsi col mondo esterno né alcuna autonomia fisica o psichica. La sua condizione non è assimilabile sul piano scientifico e giuridico alla morte cerebrale per la conservazione dell’attività cardiaca, circolatoria e di ventilazione ma il suo mantenimento in vita è garantito esclusivamente dall’idratazione e nutrizione artificiale, in mancanza dei quali la morte sopraggiungerebbe in pochissimi giorni. Il padre, divenuto tutore dopo la dichiarazione d’interdizione dell’infortunata, richiede un ordine d’interruzione dell’alimentazione forzata ritenendo di esprimere integralmente la volontà della propria figlia che non avrebbe scelto, ove ne avesse avuto la possibilità, di continuare a sopravvivere nella condizione attuale senza alcuna consapevolezza della prosecuzione dell’esistenza.
La Corte individua nel -diritto all’autodeterminazione- e nel -diritto alla vita- le due situazioni soggettive in potenziale conflitto e stabilisce alcuni principi cardine della decisione finale che è opportuno ricordare. La selezione degli interessi in gioco ha indotto a stabilire che nel caso in cui un malato si trovi in una condizione di coma irreversibile, non possa in alcun modo relazionarsi col mondo esterno e sia alimentato ed idratato mediante sondino naso gastrico il giudice, su richiesta del tutore e nel contraddittorio con il curatore speciale, può autorizzare la disattivazione del presidio sanitario solo quando lo stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcuna possibilità di recupero o di ripresa anche minima di percezione del mondo esterno secondo gli standards scientifici riconosciuti a livello internazionale e solo se tale richiesta sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti dell’idea che il paziente aveva maturato sulla dignità della vita e sul suo livello minimo di vivibilità, da desumersi da sue precedenti dichiarazioni o dalla personalità, dai valori di riferimento, dal complessivo stile di vita adottato fino alla perdita di capacità.

Secondo Vincenzo Carbone, presidente di Cassazione, “il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell’incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli : egli deve, innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace, nella ricerca del -best interest- deve decidere non al posto dell’incapace né per l’incapace, ma con l’incapace: quindi ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto, prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche”.


Trib. Milano, sez.V civile, 4/03/2008 n. 2847
I criteri per il calcolo del risarcimento del danno, a seguito di mancato consenso informato
Va rigettata la richiesta risarcitoria nel caso in cui e’ stata fornita solo la prova della lesione del proprio diritto di autodeterminazione, in assenza di allegazione né dimostrazione del danno-conseguenza risarcibile, né in relazione al danno morale soggettivo, inteso quale patema d’ animo interiore, né in relazione al cosiddetto danno esistenziale, inteso quale compromissione esteriore delle proprie abitudini di vita .
Inoltre, poiché tali danni non sono mai in re ipsa, e, nel caso di specie, non si accompagnano alla lesione del bene salute, ma, al contrario, risulta addirittura provato un miglioramento delle condizioni di salute della paziente, non è neppure ammissibile una qualsivoglia prova per presunzioni.
Incombe sul ricorrente l’onere di allegare specifiche sofferenze o peggioramenti delle proprie quotidiane condizioni di vita subito dopo essersi avveduta dell’ esecuzione del trattamento terapeutico non consentito


Trib. Benevento, 10/03/2008
Il consenso sottoscritto è inquadrabile come una scrittura privata che fa piena prova della provenienza e del contenuto
Non può ritenersi fondata la contestazione di non esaustività del consenso informato sottoscritto anche nel caso in cui la struttura sanitaria abbia successivamente sostituito il modulo con uno più dettagliato, ciò allorquando il paziente sia stato reso edotto oralmente di particolari evenienze che avrebbero potuto verificarsi a seguito dell'intervento.
Risultava, comunque, dal modulo di consenso sottoscritto - inquadrabile come una scrittura privata che fa piena prova della provenienza e del contenuto - che poteva verificarsi l'evento che effettivamente si verificò.


N° 11335 Cassazione del 14 marzo 2008
Consenso informato prestampato e generico e responsabilità professionale del medico
Il consenso informato prestato dal paziente su dei moduli prestampati e generici non salva il medico dalle sue responsabilità. Tuttavia se il malato muore per un intervento sbagliato il sanitario rischia una condanna per omicidio colposo, ma non per omicidio preterintenzionale.
Infatti dal rilievo attribuito al consenso del paziente non può farsi discendere la conseguenza che dall'intervento effettuato in assenza di consenso o con un consenso prestato in modo invalido si possa sempre profilare la responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale, in caso di esito letale, ovvero a titolo di lesioni volontarie.
Ciò in relazione all'elemento soggettivo di tali reati, che è di norma non configurabile rispetto all'attività del medico.
In altri termini, in relazione al caso specifico, pur ammettendosi che il consenso sia stato prestato in maniera grossolana e non satisfattiva, con moduli oltre modo generici e non in grado di dimostrare l'avvenuta consapevolezza del destinatario consenziente, non appare condivisibile, in linea di principio, l'assunto che vorrebbe inquadrare i fatti nell’ambito dei reati di lesioni volontarie e di omicidio preterintenzionale: il consenso eventualmente invalido perché non consapevolmente prestato non può di per se importare l'addebito a titolo di dolo.


Cassazione penale, 20/03/2008, n. 12387
I limiti del prelievo ematico senza consenso
Ai fini della utilizzabilità probatoria dei risultati di un prelievo ematico, è necessario che l'esame sia stato eseguito nell'ambito di un protocollo medico di pronto soccorso. E' stato precisato infatti che, per l'accertamento del reato contravvenzionale di guida in stato di ebbrezza, sono utilizzabili i risultati del prelievo ematico che sia stato effettuato - secondo i criteri e gli ordinari protocolli sanitari di pronto soccorso, durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito di incidente stradale, trattandosi, in tal caso, di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica, con conseguente irrilevanza, a questi fini, della mancanza di consenso.


Trib.Modena, 13/05/2008
Il rifiuto di terapie invasive, anche salvavita, può essere espresso dall'amministratore di sostegno che affianca il paziente
In base agli artt. 2, 13 e 33 della Costituzione, in favore del diritto all’autodeterminazione di una persona al rispetto del cammino biologico naturale verso l’evento morte, il giudice tutelare di Modena ha autorizzato l’amministratore di sostegno a negare ai sanitari il consenso necessario per praticare la ventilazione forzata sulla paziente, chiedendo nel contempo agli stessi medici le cure palliative più efficaci per annullare ogni sofferenza alla persona.


Cassazione sez IV, 01/08/2008, n. 32423
I contenuti della comunicazione per l’acquisizione del consenso informato in medicina e chirurgia estetica per una miglior valutazione del rapporto costi-benefici del trattamento
Il consenso informato non può ovviamente esaurirsi nella comunicazione del nome del prodotto che verrà somministrato o di generiche informazioni, ma deve investire, soprattutto nel caso di trattamenti che non sono diretti a contrastare una patologia, ma a finalità esclusivamente estetiche che si esauriscono, dunque, in trattamenti non necessari, se non superflui, di eventuali effetti negativi della somministrazione in modo che sia consentito al paziente di valutare congruamente il rapporto costi-benefici del trattamento e di mettere comunque in conto l’esistenza e la gravità delle conseguenze ipotizzabili.


Cassazione Civile sez. III, 15/09/2008, n. 23676
Rifiuto di cure mediche solo se espresso e attuale
Nell’ipotesi di pericolo grave e immediato per la vita del paziente, il dissenso del medesimo deve essere oggetto di manifestazione espressa, in equivoca, attuale e informata.
Con ciò non si vuole peraltro sostenere che, in tutti i casi in cui il paziente portatore di forti convinzioni etico-religiose (es. testimoni di Geova) si trovi in stato di incoscienza, debba per ciò subire un trattamento terapeutico contrario alla sua fede. Ma è innegabile, in tal caso, l’esigenza che, a manifestare il dissenso al trattamento (in questo caso trasfusionale) sia o lo stesso paziente che rechi con sè una articolata, puntuale, espressa dichiarazione dalla quale in equivocamente emerga a volontà di impedire il trattamento (nello specifico la trasfusione) anche in ipotesi di pericolo di vita, ovvero un diverso soggetto da lui stesso indicato quale rappresentante ad acta il quale, dimostrata, l’esistenza del proprio potere rappresentativo in parte qua, confermi tale dissenso all’esito della ricevuta informazione da parte dei sanitari


Cassazione Penale sez. IV, 30/09/2008, n. 37077
Valore del consenso informato e responsabilità penale del medico
Pur se l’attività medico-chirugica per essere legittima presuppone il consenso informato del paziente è da escludere che dall’intervento effettuato in assenza di consenso o con un consenso
prestato in modo invalido possa farsi discendere la responsabilità del medico a titolo di lesioni volontarie ovvero, in caso di morte, di omicidio preterintenzionale. Ciò in quanto il sanitario il quale, salve situazioni anomale e distorte (nelle quali potrebbe ammettersi la configurabilità di tali reati: per esempio, nei casi in cui la morte consegua ad una mutilazione procurata in assenza di qualsiasi necessità o di menomazione inferta, con esito mortale, per scopi esclusivamente scientifici), si trova ad agire, magari erroneamente, ma pur sempre con finalità curativa, che è concettualmente incompatibile con il dolo delle lesioni.
Infatti non è possibile ipotizzare la mancanza del consenso informato quale elemento di colpa perché l’obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza.


Cassazione Penale sez. V, 08/10/2008, n. 38345
Intervento demolitorio in assenza di consenso validamente prestato dalla paziente, informata soltanto della laparoscopia
Poiché è pregiudiziale la risoluzione del quesito se abbia o meno rilevanza penale, e, nel caso di risposta affermativa, quale ipotesi delittuosa configuri la condotta del sanitario che, in assenza di consenso informato del paziente, sottoponga il paziente stesso ad un determinato trattamento chirurgico nel rispetto delle regole dell'arte e con esito fausto, ravvisando un non unanime orientamento interno e diverse posizioni in dottrina, riassumendo con ottima sintesi i diversi profili in gioco, ha rimesso la causa alle Sezioni Unite onde venga risolto il contrasto: qualora l'intervento risulti scelta corretta e obbligata, la questione è se abbia o meno rilevanza penale, e, nel caso di risposta affermativa, quale ipotesi delittuosa configuri, la condotta del sanitario che, in assenza di consenso informato, sottoponga il paziente ad un determinato trattamento chirurgico nel rispetto delle regole dell'arte e con esito fausto.


Cass. pen., sez. V, 28/10/2008, n.40252
L’assenza del consenso informato non basta a determinare la condanna del medico
Il medico non va condannato in maniera automatica per lesioni volontarie per un intervento effettuato in assenza del consenso del paziente.
Infatti va tenuto presente come manchino disposizioni penali che sanzionino espressamente la condotta del medico che non ha osservato l’obbligo della acquisizione del consenso informato, previsto da una ampia normativa oltre che dal codice deontologico medico.
In particolare, la mancanza del consenso non può portare ad individuare un dolo intenzionale nella condotta del medico, non tenendo conto, in questa prospettiva, della finalità terapeutica oppure della corretta esecuzione dell’intervento. Infatti va tenuto presente che le condotte terapeutiche, anche se lesive e prive di consenso, non sono tipiche e comunque non sono dolose.


Cassazione Sezioni Unite Civili  11/11/2008 n.26973
Consenso informato configurato come elemento strutturale dei contratti di protezione
Il fondamento del Consenso Informato viene a essere configurato come elemento strutturale dei contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore medico.

4.1. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. consente ora di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali.
Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale.
Se l’inadempimento dell’obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela nsarcitona del danno non patrimoniale potrà essere versata nell’azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all’espediente del cumulo di azioni.
4.3. Vengono in considerazione, anzitutto, i cd. contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l’inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali.
In tal senso si esprime una cospicua giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di inquadrare nell’ambito della responsabilità contrattuale la responsabilità del medico e della struttura sanitaria (sent. n. 589/1999 e successive conformi, che, quanto alla struttura, hanno applicato il principio della responsabilità da contatto sociale qualificato), e di riconoscere tutela, oltre al paziente, a soggetti terzi, ai quali si estendono gli effetti protettivi del contratto, e quindi, oltre alla gestante, al nascituro, subordinatamente alla nascita (sent. n. 11503/1003; n. 588 1/2000); ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata (sent. n. 6735/2002; n. 14488/2004; n. 20320/2005).
I su indicati soggetti, a seconda dei casi, avevano subito la lesione del diritto inviolabile alla salute (articolo 32 Cost., comma 1), sotto il profilo del danno biologico sia fisico che psichico (sent. n. 1511/2007); del diritto inviolabile all’autodeterminazione (articolo 32, comma 2 e articolo 13 Cost.), come nel caso della gestante che, per errore diagnostico, non era stata posta in condizione di decidere se interrompere la gravidanza (sent. n. 6735/2002 e conformi citate), e nei casi di violazione dell’obbligo del consenso informato (sent. n. 544/2006); dei diritti propri della famiglia (articoli 2, 29 e 30 Cost.), come nel caso di cui alle sentenze n. 6735/2002 e conformi citate.


Cassazione Penale Sezioni Unite, 18/12/2008 - 21/01/2009, n. 2437
L’assenza di consenso, in mancanza di esplicito rifiuto, quando l’intervento ha prodotto un beneficio per la salute del paziente non fa incorrere il medico in responsabilità penali
Ove il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle legis artis, sia concluso con esito fausto, nel senso che dall’intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento, anche alle eventuali alternative apprezzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo delle lesioni personali quanto sotto quello della violenza privata.

Quella del medico è una professione di “pubblica necessità” ed è per questo che questa attività non ha bisogno, per legittimarsi, di una scriminante tipizzata quale il consenso del paziente al trattamento che escluda l’antigiuridicità di condotte strumentali al trattamento medico, anche se attuate secondo le regole.


Tar Lombardia sez. III sentenza n. 214/09
Assistenza dovuta anche a chi vuole interrompere le cure
Le affermazioni dell'Amministrazione secondo cui il Servizio sanitario nazionale non sarebbe obbligato a prendere in carico un paziente che a priori rifiuti le cure necessarie a tenerlo in vita e secondo cui il personale medico non potrebbe dare corso alla volontà di rifiutare le cure, pena la violazione dei propri obblighi di servizio, non appaiono conformi ai principi che regolano la materia. Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla Suprema Corte, è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l'ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all'interno di una struttura sanitaria pubblica o privata. La manifestazione di tale consapevole rifiuto rende quindi doverosa la sospensione si mezzi terapeutici il cui impiego non dia lacuna speranza di uscita dallo stato vegetativo in cui versa la paziente e non corrisponda con il metodo dei valori e la visione di vita dignitosa che è propria del soggetto. Qualora l'ammalato decida di rifiutare le cure (ove incapace, tramite rappresentante legale debitamente autorizzato dal Giudice Tutelare), tale ultima manifestazione di rifiuto farebbe immediatamente venire meno il titolo giuridico di legittimazione del trattamento sanitario (ovvero il consenso informato), costituente imprescindibile presupposto di liceità del trattamento sanitario medesimo, venendo a sorgere l'obbligo giuridico (prima ancora che professionale o deontologico) del medico di interrompere la somministrazione di messi terapeutici indesiderati. Come ha precisato la Suprema Corte, tale obbligo giuridico sussiste anche ovi si tratti di trattamento di sostegno vitale il cui rifiuto conduca alla morte, giacché tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia (per tale dovendo intendersi soltanto il comportamento eziologicamente inteso ad abbreviare la vita e che causa esso positivamente la morte) bensì la scelta insindacabile del malato a che la malattia segua il suo corso naturale fino all'inesorabile exitus. Rifiutare il ricovero ospedaliero, dovuto in linea di principio da parte del SSN a chiunque sia affetto da patologie mediche, solo per il fatto che il malato abbia preannunciato la propria intenzione di avvalersi del diritto alla interruzione del trattamento, significa di fatto limitare indebitamente tale diritto. L'accettazione presso la struttura sanitaria pubblica non può infatti essere condizionata alla rinuncia del malato ad esercitare un suo diritto fondamentale. Né il rifiuto opposto dall'Amministrazione alla richiesta può giustificarsi in base a ragioni attinenti l'obiezione di coscienza. L'Amministrazione Sanitaria, in ossequio dei principi di legalità, buon andamento, imparzialità e correttezza, dovrà indicare la struttura sanitaria dotata di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, tali sa renderla "confacente" agli interventi e alle prestazioni strumentali all'esercizio della libertà costituzionale di rifiutare le cure, onde evitare alla ammalata (ovvero al tutore e curatore di lei) di indagare in prima persona quale struttura sanitaria sia meglio equipaggiata al riguardo.


Trib.Milano sez. V, 09/02/2009
Ingiusta modifica dell’intervento concordato
Il Tribunale di Milano ha affermato la responsabilità del medico che aveva sottoposto una paziente ad un intervento necessario ma non urgente senza avere chiara cognizione della situazione; si accertava, in corso di causa, che la (presunta) prospettazione dell’intervento effettivamente eseguito come alternativo a quello per cui la paziente sottoscriveva il consenso informato, veniva in realtà valutata solo durante il trattamento, allorquando la donna era già anestetizzata.
Si riteneva che il medico avesse modificato - ingiustificatamente - una scelta concordata, effettuando atti chirurgici molto più invasivi per modalità esecutive e conseguenze senza autorizzazione dell'interessata.
Secondo il Tribunale ciò costituirebbe un innegabile ed autonomo titolo di inadempimento con conseguente lesione del diritto di autodeterminazione del paziente produttivo, nel caso concreto, di conseguenze sulla integrità psicofisica delle quali l'autore deve rispondere.


Cass. pen., sez. IV, 25/09/2009, n.37875
La mancanza del consenso informato non determina l’automatica responsabilità del medico
L'obbligo d'acquisizione del consenso informato del paziente, non solo non è previsto che avvenga tassativamente in forma scritta, ma non costituisce nemmeno una regola cautelare e dunque la sua inosservanza da parte del medico non può costituire, nel caso l'intervento abbia causato delle lesioni, un elemento per affermare automaticamente la responsabilità a titolo di colpa di quest'ultimo, a meno che la mancata sollecitazione del consenso gli abbia impedito di acquisire la necessaria conoscenza delle condizioni del paziente medesimo e di acquisire un'anamnesi completa.


Cassazione Civile - Sez. III, sent. n. 20806 del 29.09.2009
Il consenso informato è un obbligo contrattuale del medico
Il consenso informato, espressione del diritto personalissimo, di rilevanza costituzionale, alla autodeterminazione terapeutica, è un obbligo contrattuale del medico perché è funzionale al corretto adempimento della prestazione professionale, pur essendo autonomo da esso.
Nella vicenda di causa i giudici del primo grado accertavano che il medico aveva garantito al paziente il positivo esito dell’intervento di cataratta - tanto che, gli stessi giudici, avevano ritenuto che l’obbligazione assunta fosse stata di risultato - non soltanto perché di routine, ma anche perché il paziente era in buone condizioni di salute, aveva sessantasei anni e gli occhi erano sani.


Cassazione Penale - Sez. IV, Sent. n. 48322 del 17.12.2009
Odontoiatria e assenza di consenso informato

Un medico dentista, veniva rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 590, 51 e 55 c.p. per avere cagionato lesioni gravi consistenti nella demolizione dei quattro denti incisivi superiori, con conseguente indebolimento permanente della funzione masticatoria.
Più precisamente - secondo l’accusa - era stato eseguito un intervento terapeutico ed estetico demolitorio, anziché conservativo e ciò in assenza di un espresso consenso e quindi eccedendo colposamente nell'esercizio del suo diritto di attività di medico dentista.
La Corte di Cassazione, confermando la sentenza assolutoria, ha affermato che non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l'intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.


Cassazione Civile Sez. III 30/1/2010, n. 2468
No test HIV senza Consenso informato
La legge. 5 giugno 1990, n. 135, art. 5, comma 3, secondo cui nessuno può essere sottoposto al test anti-HIV senza il suo consenso, se non per motivi di necessità clinica, nel suo interesse deve essere interpretato alla luce dell'art. 32 Cost., comma 2, nel senso che, anche nei casi di necessità clinica, il paziente deve essere informato del trattamento a cui lo si vuole sottoporre, ed ha il diritto di dare o di negare il suo consenso, in tutti i casi in cui sia in grado di decidere liberamente e consapevolmente.
Dal consenso si potrebbe prescindere solo nei casi di obiettiva e indifferibile urgenza del trattamento sanitario, o per specifiche esigenze di interesse pubblico (rischi di contagio per i terzi, od altro).
Il principio è stato affermato dalla Suprema Corte in un giudizio intrapreso da un paziente per ottenere il risarcimento dei danni nella misura di un miliardo, in quanto, a seguito di un ricovero per forte attacco febbrile con diagnosi di leucopenia, era stato sottoposto a test anti-HIV senza che gli fosse stato richiesto il consenso.
Oggetto del giudizio è stata anche la gestione della cartella clinica e dei dati sensibili.


 

 

Cassazione Civile Sez. III 02/02/2010, n.2354
L’obbligo di informare il paziente non è soggetto a valutazioni discrezionali
L'obbligo di informare pienamente il paziente, prescritto dal codice di deontologia medica, pur con le dovute cautele, non è soggetto a nessuna valutazione discrezionale e perciò comprende tutti gli aspetti diagnostici e prognostici dello stato di salute del paziente e quindi anche i rischi meno probabili, purché non del tutto anomali, in modo da consentirgli di capire non solo il suo attuale stato, ma anche le eventuali malattie che possono svilupparsi, le percentuali di esito fausto ed infausto delle stesse, nonché il programma diagnostico per seguire l'evoluzione delle condizioni del paziente e l'indicazione delle strutture specializzate ove svolgerlo, ovvero di specialisti esperti per formularlo, pur se a tal fine il paziente si deve allontanare dal luogo ove è in cura.
L’obbligo ha rilevanza giuridica perché integra il contenuto del contratto e qualifica la diligenza del professionista nell'esecuzione della prestazione. La violazione di esso può determinare la violazione di diritti fondamentali ed inviolabili (quali il diritto ad esprimere la propria personalità, la libertà personale, la salute - artt. 2, 13 e 32 Cost. - il diritto alla vita, al rispetto della vita privata e familiare, alla formazione della famiglia: artt. 2, 8 e 12 Convenzione Europea dei diritti dell'uomo).


Cassazione Civile Sez. III 09/02/2010, n.2847
La prova del consenso deve essere data dal medico
Nel giudizio di responsabilità, si era affermato a difesa del medico, che il consenso del paziente sarebbe inerente ad una fase che precede il contratto di prestazione d’opera professionale e si verterebbe in ipotesi di responsabilità precontrattuale governata dalla regola (più favorevole al sanitario) secondo la quale la prova del fatto illecito (mancata acquisizione del consenso) deve essere data dal paziente.
Contrariamente, la Corte di Cassazione, ha evidenziato, rigettando l’eccezione, che l'intervento del medico, anche solo in funzione diagnostica, da comunque luogo all'instaurazione di un rapporto di tipo contrattuale.
Ne deriva che, effettuata la diagnosi in esecuzione del contratto, l'illustrazione al paziente delle conseguenze (certe o incerte che siano, purché non del tutto anomale) della terapia o dell'intervento che il medico consideri necessari o opportuni ai fini di ottenere il necessario consenso all'esecuzione della prestazione terapeutica, costituisce un'obbligazione il cui adempimento deve essere provato dalla parte che l'altra affermi inadempiente, e dunque dal medico a fronte della contestazione formulata dal paziente.


Cassazione Civile Sez. III 11/02/2010, n.3075
Sanzionabile la prestazione professionale in favore di minore senza consenso del genitore affidatario
Una psicologa impugnava giudizialmente la delibera del Consiglio dell'Ordine degli psicologi con la quale le veniva inflitta la sanzione dell'avvertimento per violazione dell'art. 31 del codice deontologico avendo sottoposto ad osservazione psicologica una minore di circa cinque anni, figlia naturale riconosciuta dai genitori, su incarico del padre di cui era Consulente Tecnico di Parte [CTP] nella controversia dinanzi al Tribunale dei Minori con la madre e senza il consenso di costei, affidataria della medesima.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando il precedente giudizio e dando rilievo al principio - di cui al suddetto art 31 del codice deontologico - per cui le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono generalmente subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela.


Corte dei Conti Sicilia del 26 aprile 2010 n. 828
Atto medico  - Senza consenso danno erariale
Un medico non può intervenire sul paziente senza aver ricevuto il consenso informato quale presupposto ineludibile per un corretto esercizio dell’attività medica.
Senza il consenso informato il medico tralascia quelle cautele che costituiscono lo standard minimo di diligenza richiesto adottando una condotta caratterizzata da colpa grave e, come tale, sanzionabile dalla magistratura contabile.
Nel caso specifico era stata data da parte del medico che aveva compilato la cartella clinica una carente informazione circa la natura, l’entità e le conseguenze dell’intervento cui era stato sottoposto, mentre  il chirurgo che ha poi proceduto all’intervento non aveva proceduto ad accertarsi che il paziente avesse palesato un valido consenso informato. 

 

 


Cassazione Penale Sez. IV depositata l’8 giugno 2010 n. 21799
Senza consenso se l’esito è infausto c’è dolo
In mancanza di consenso informato in caso di intervento infausto potrebbe discutersi di responsabilità a titolo di lesioni volontarie o, in caso di morte, a titolo di omicidio preterintenzionale in presenza di comportamenti del medico assolutamente anomali e distorti e comunque dissonanti rispetto alla finalità curativa che deve caratterizzare il proprio approccio terapeutico.

In precedenza:
Cassazione sezioni unite sentenza 2437 del 18 dicembre 2008: non integra il reato di lesione personale né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente a un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l’intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e della leges artis, si sia concluso con esito fausto.
Ma nella fattispecie della sentenza di cui sopra trattatasi di un intervento con esito lesivo della salute del paziente.


Cassazione Sez. III del 2 luglio 2010 n. 15698
Il medico viene meno all’obbligo del consenso se non da una informazione completa ed esaustiva
Il medico viene meno all’obbligo a suo carico del consenso informato se non fornisce al paziente, in modo esaustivo e completo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare e l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità. Pertanto, deve essere condannato al risarcimento del danno il professionista sanitario che non informi il paziente delle variazioni del programma operatorio su un intervento chirurgico, anche laddove resti ferma la tecnica preventivamente concordata.

In precedenza
Cassazione sez.III civile sentenza 9705 del 6 ottobre 1997: per un consenso informato valido è necessario che il professionista informi il paziente dei benefici, delle modalità dell’intervento, delle eventuali possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e, infine, dei rischi prevedibili in sede operatoria, ma ciò non significa che debba addentrarsi nei dettagli della tecnica prescelta e, quindi, informare il paziente di variazioni sul piano operativo del programma operatorio, ferma restando la tecnica concordata.


Corte di Cassazione sezione 3 civile del 17 febbraio 2011 n. 3847
Mancata informazione su eventuali carenze e limiti organizzativi della struttura
Il medico che operi all'interno di una clinica privata, ne sia o meno dipendente, ha sempre il dovere di informare il paziente di eventuali carenze o limiti organizzativi o strutturali della clinica stessa (come, nella specie, la mancanza di una adeguata struttura di rianimazione neonatale); ove ciò non faccia, egli risponde in solido con la clinica del danno patito dal paziente in conseguenza di quel "deficit" organizzativo o strutturale, ove possa presumersi che il paziente, se correttamente informato, si sarebbe avvalso di altra struttura sanitaria


Cassazione Civile sez.III del 30 marzo 2011 n. 7237
Consenso informato e diritto autodeterminazione paziente
Cassazione civile - la sussistenza del nesso eziologico tra mancata acquisizione di consenso informato e il pregiudizio sofferto (nella caso specifico, resezione gastrica) non va indagata solo in relazione al rapporto di consequenzialità tra intervento terapeutico e pregiudizio della salute, ma va verificata in relazione al rapporto tra attività omissiva del sanitario per non averne informato il paziente ed esecuzione dell'intervento. In altri termini, la questione non attiene tanto alla liceità dell'intervento del medico, ma nasce dalla violazione di quel diritto fondamentale all'autodeterminazione del paziente, da parte del sanitario, il quale è chiamato a rispondere, qualora non abbia adeguatamente o per nulla informato per acquisirne il preventivo, consapevole consenso.


Cassazione Civile sez.III del 28 luglio 2011 n. 16543
Il diritto al consenso informato, in quanto diritto irretrattabile della persona va comunque sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza
Secondo la Cassazione il diritto al consenso informato, in quanto diritto irretrattabile della persona va comunque sempre rispettato dal medico, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti, a seguito di un intervento concordato e programmato e per il quale sia stato richiesto e sia stato ottenuto il consenso, che pongano in gravissimo pericolo la vita della persona, bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell’ordine giuridico e del valore civile, o si tratti di un trattamento sanitario obbligatorio.
Tale consenso è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza per escluderlo che l’intervento sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che a causa del totale deficit di informazione il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, per cui nei suoi confronti, comunque, si consuma una lesione di quella dignità che connota nei momenti cruciali – la sofferenza fisica e/o psichica – la sua esistenza.


Tribunale di Salerno n. 1689 del 12 agosto 2011
Non è richiesto il consenso informato del paziente in caso di trattamento sanitario obbligatorio
Un paziente ha chiamato in giudizio l’Azienda Sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni subiti esponendo di essere stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio con somministrazione continua di medicinali che avevano comportato la perdita di cognizione personale e dell'ambiente esterno, senza l'urgenza "salvavita" e senza il suo consenso, con omissione di informazione e con violazione del diritto di autodeterminazione e che la terapia somministratagli coattivamente aveva determinato l'insorgere della patologia denominata "induratio penis plastica". L’ipotesi di trattamento obbligatorio e costituita dal caso del paziente che, per malattia mentale, non sia in grado di sottoporsi volontariamente ai trattamenti necessari, sicché la valutazione di tale necessità è rimessa ai sanitari e al sindaco nonchè alla successiva convalida dell'autorità giudiziaria.
Nella vicenda concreta, ha osservato il Tribunale, si verte proprio in ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio e pertanto la terapia prestata prescindeva dal consenso del paziente per disposizione di legge. Inoltre, cessato il TSO, l’uomo aveva continuato la degenza volontariamente, sottoscrivendo la dichiarazione inserita nella cartella clinica. Relativamente alla questione della necessità e adeguatezza della terapia farmacologica effettuata durante il ricovero, sulla base delle risultanze della disposta consulenza tecnica, si accertava che le modalità di ricovero e di trattamento terapeutico furono coerenti alle condizioni del soggetto all'epoca dei fatti e rispondenti ai protocolli medici. Il Tribunale ha respinto la domanda risarcitoria proposta dal paziente condannandolo alle spese di giudizio.


App. Milano I Sez. Civ. n. 2359 del 19 agosto 2011
Trasfusione coatta di sangue, medici condannati
La Corte di Appello di Milano 1° sezione civile colla sentenza 2359 del 19 agosto 2011 ha affermato il diritto alla autodeterminazione del malato alle cure e, in particolare,  all’eventuale rifiuto: il bene vita come entità esterna all’uomo, non può imporsi contro e a dispetto della volontà dell’uomo (purché attuale con  persona cosciente e capace di intendere con manifesto e consapevole “dissenso” al trattamento medico). Grande attenzione va posta alla gerarchia delle fonti del diritto: l’articolo 32 della Costituzione prevede che nessun trattamento sanitario può essere imposto se non è previsto dalla legge, nel qual caso però non deve violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana, mentre l’articolo 40 del codice penale contempla che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico  di impedire, equivale a cagionarlo. 


Cassazione sez. III civile  n. 20984 del 27 novembre 2012
Anche se il paziente è un medico necessita sempre il consenso informato
Il medico, per ogni atto diagnostico e terapeutico, è tenuto ad assicurare il diritto all'autodeter- minazione del malato, il quale sarà libero di accettare o rifiutare la prestazione sanitaria. E', dunque, evidente come la qualità del paziente (nella fattispecie un radiologo) sia irrilevante al fine di escluderne il dovere all’acquisizione, mentre potrà incidere sulle modalità dell'informazione, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e che, nel caso di paziente-medico, potrà essere parametrata alle sue conoscenze scientifiche in materia. Da tenere inoltre presente che senza il consenso informato, l’interevento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario obbligatorio per legge o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente.  Nella sentenza sono stati, dunque, precisati i seguenti princìpi: 1) non può esservi un consenso tacito per facta concludentia; 2) la qualità personale del soggetto da informare (nella specie, medico) non fa venire meno l’obbligo di informazione; 3) l’onere della prova con riguardo all’avvenuta illustrazione delle possibili conseguenze dannose della terapia spetta al medico, una volta dedotto dal paziente il relativo inadempimento.


Corte d'Appello de L'Aquila Civile del 23 gennaio 2013 n. 36
Responsabilità per omessa corretta informazione
La responsabilità professionale del medico, ancorché quest'ultimo si limiti alla diagnosi ed all'illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell'intervento che ritenga di dover effettuare, allo scopo di ottenere il dovuto e necessario consenso informato, ha natura contrattuale. In tal senso, si sottolinea che il diritto al consenso informato del paziente è un diritto irretrattabile della persona e, in quanto tale, deve sempre e ad ogni modo essere rispettato dal medico, a meno che non ricorrano casi d'urgenza o si tratti di un intervento sanitario obbligatorio. Orbene, laddove il paziente alleghi l'inadempimento di siffatto obbligo di informazione, è il medico tenuto a dimostrare di aver adempiuto tale obbligazione. Ciò detto, può affermarsi la responsabilità del sanitario qualora risulti accertato, da un lato, che laddove il paziente, ove correttamente informato della possibile ingravescenza della patologia e dell'urgenza terapeutica, avrebbe di certo prestato il consenso all'immediato ricovero ed al necessario intervento chirurgico e, dall'altro lato, che il tempestivo intervento avrebbe, con alta probabilità, scongiurato l'evento dannoso poi verificatosi. Ed infatti, in tema di responsabilità civile, per l'accertamento del nesso causale tra la condotta illecita e l'evento dannoso, non occorre la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, essendo, invero, sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica. Alla luce di siffatte considerazioni, nella fattispecie, in accoglimento dell'appello promosso, si è affermata la responsabilità dell'Azienda sanitaria e del medico appellati, essendo stato accertato, in base alle risultanze istruttorie, che la mancata rilevazione dell'urgenza clinica e l'omessa corretta informazione circa la necessità del ricovero ospedaliero da parte del medico, avevano di certo contribuito all'aggravamento della patologia del paziente che, laddove, invece, curata tempestivamente ed adeguatamente, non sarebbe giunta, con alta probabilità, al funesto epilogo poi accaduto (necrosi del testicolo e sua asportazione). Conseguentemente, a fronte dell'accertata idoneità della condotta colposa del sanitario alla produzione dell'evento lesivo, non essendo stata fornita, né dall'Azienda sanitaria né dal medico, la prova positiva della causa non imputabile, ovvero di un fatto sufficientemente certo che, inequivocabilmente, potesse escludere in radice il nesso eziologico, è stata affermata la responsabilità sia dell'Azienda Sanitaria che del professionista per l'evento lesivo occorso al figlio degli appellanti.


Corte di Cassazione sezione III civile sentenza n. 2253 del 31 gennaio 2013
Chirurgia senza consenso: lesa la dignità della persona
Il diritto al consenso informato del paziente è un diritto irretrattabile della persona e che, al fine di escluderlo, non assume alcuna rilevanza il fatto che l'intervento sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è stato posto in condizione di assentire al trattamento, di talché si è consumata, nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza umana nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica.


Cassazione sezione III civile del 16 maggio 2013 n. 11950
Violazione dell'obbligo di informazione da parte del medico collegato al danno alla salute e all’autodeterminazione
La violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute.


Cassazione Civile Sez.III 04/06/2013, n.14024
Modifica dell’intervento e consenso informato
La Cassazione ha dato conferma del negativo approccio giurisprudenziale alla dilatazione del consenso informato: la manifestazione del consenso prestata dal paziente non può estendersi ad un intervento diverso e dalle diverse possibili conseguenze rispetto a quello inizialmente previsto ed accettato.
Pertanto, fatte salve le situazioni di palese urgenza che pongano a serio rischio la incolumità del paziente, l’esecuzione di più incisive manovre chirurgiche a fronte di complicanze rilevate nel corso dell’intervento concordato e programmato non può prescindere dal rinnovo del consenso informato.

Il consenso informato è -specifico- , cioè deve essere riferito unicamente alla prestazione che viene prospettata. Una condotta diversa da quella per cui è stato dato il consenso non è legittimata, salvo nei casi nei quali si può configurare uno stato di necessità.


Tribunale sezione 3 civile di Bari del 18 luglio 2013
Responsabilità o obbligo di consenso informato

La violazione dell'obbligo del consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico e, dunque, quale vero e proprio diritto della persona, avente fondamento nei principi espressi negli artt. 2, 13 e 32 Cost., determina, in capo al sanitario, e di riflesso alla struttura per cui egli agisce, una responsabilità che discende dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto e dal verificarsi, in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, la corretta o meno esecuzione del trattamento. Il rispetto dell'autodeterminazione del paziente, che è ciò che si vuole tutelare, con il conseguente risarcimento del danno per mancato consenso, deve essere, in ogni caso, valutato in concreto, avuto riguardo alle reali possibilità di scelta del paziente qualora adeguatamente informato. La rilevanza causale del mancato consenso sussiste, dunque, soltanto quando una tale disinformazione abbia comportato una scelta terapeutica che, altrimenti, sarebbe stata, con alta probabilità, rifiutata o modificata dal paziente. L'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno, nelle obbligazioni così dette di comportamento, non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno, il che comporta, da un lato, la necessità, per la parte istante, di allegare un inadempimento qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno e, dall'altro, che la sussistenza del nesso eziologico va indagata non solo in relazione al rapporto di consequenzialità tra intervento o terapia adottata e pregiudizio della salute, ma anche in relazione al rapporto tra attività omissiva del medico, per non aver informato il paziente, ed esecuzione dell'intervento o adozione di una determinata terapia.


Cassazione Civile Sez. III 31/07/2013, n.18334
Il consenso informato non può essere generico e il paziente deve conoscere i rischi di un eventuale intervento chirurgico
ll medico ha l’obbligo di fornire tutte le informazioni possibili al paziente in ordine alle cure mediche o all’intervento chirurgico da effettuare, tanto è vero che sottopone al paziente, perché lo sottoscriva un modulo non generico, dal quale sia possibile desumere con certezza l’ottenimento in modo esaustivo da parte del paziente di dette informazioni: ne consegue che il medico chirurgo viene meno all’obbligo a suo carico in ordine all’ottenimento del cosiddetto -consenso informato- ove non fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili sull’intervento chirurgico che intende eseguire e soprattutto sul bilancio rischi/vantaggi dell’intervento.

Cassazione Civile Sez. III 20/08/2013, n.19220
Non basta la firma sul modulo
In un rapporto personale col paziente in procinto di provvedimenti diagnostici-terapeutici , il paziente ha diritto a ricevere le informazioni sui vantaggi e rischi o alternative del provvedimento proposto con linguaggio che deve tener conto del grado culturale della persona assistita (linguaggio chiaro che tenga conto del particolare stato soggettivo e del grado di conoscenze specifiche).
Nel caso specifico “la responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del consenso informato discende:

  • a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto;
  • b) dal verificarsi, in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente.

Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, la circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. Sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione (gli fu fatto sottoscrivere da una segretaria, nella penombra di una sala d'aspetto, un foglio prestampato senza che nulla gli fosse stato comunicato in relazione alla possibilità di un esito negativo dell'intervento, con conseguente limitazione della vista) non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. Cass. 28 luglio 2011, n. 16543 e Cass. 27 novembre 2012, n. 20984).


Cassazione Civile Sez. III 11/12/2013, n.27751
La prestazione corretta non giustifica le carenze del Consenso informato
Il medico ha il dovere e obbligo di informare il paziente che sta per essere operato, soprattutto in casi in cui l’intervento è di elezione (cioè non urgente), anche dei rischi legati a “eventi straordinari” che cioè si verificano raramente. In particolare, l’obbligo di informazione circa le conseguenze di un trattamento da parte del medico sussiste sempre, anche nei casi in cui sia stato eseguito correttamente: un intervento anche se eseguito correttamente non giustifica le carenze di un consenso informato.


Cassazione penale sez.IV 20/01/2014, n. 2347
Il mancato consenso determina di per sé l’arbitrarietà del trattamento e la sua rilevanza penale indipendentemente da una condotta dannosa da parte del medico nei riguardi del paziente
Dato che il "consenso" del paziente costituisce un presupposto di liceità del trattamento e che il "consenso", per legittimare il trattamento terapeutico, deve essere "informato", cioè espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, dei possibili effetti negativi della terapia o dell'intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni e l'indicazione della gravità degli effetti del trattamento, il Consenso Informato ha come contenuto concreto la facoltà della libera scelta del paziente al trattamento diagnostico terapeutico nel rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall’articolo 32 Cost.: il criterio di disciplina della relazione medico-malato è quello della libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario.
Ne deriva che la mancanza del consenso o un consenso viziato di nullità determina di per sé l’arbitrarietà del trattamento e la sua rilevanza penale indipendentemente da una condotta dannosa da parte del medico nei confronti del paziente.
Cosicché il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente. Infatti non è possibile fondare la colpa sulla mancanza del consenso perché l'obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza, essendo l'acquisizione del consenso preordinata a evitare non già fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), bensì a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione del richiamato art. 32 Cost., comma 2.
Quindi, il consenso informato non integra una scriminante dell'attività medica poiché, espresso da parte del paziente a seguito di una informazione completa sugli effetti e le possibili controindicazioni di un intervento chirurgico, rappresenta solo un vero e proprio presupposto di liceità dell'attività del medico che somministra il trattamento, al quale non è attribuibile un generale diritto di curare a prescindere dalla volontà dell'ammalato.
Ciò a maggior ragione nel caso specifico, trattandosi di chirurgia estetica che per sua natura non connotata dall'urgenza ma finalizzata a migliorare l'aspetto fisico del paziente in funzione della sua vita di relazione.


Tribunale di Firenze 22/01/2014 n. 170
Inadeguato consenso informato viola il diritto alla autodeterminazione
Il mancato o il viziato consenso informato viola il diritto alla autodeterminazione e costituisce un danno risarcibile, anche se il paziente pur correttamente informato non si sarebbe sottratto all’intervento e se l’intervento è stato eseguito senza errori.
Chi è sottoposto ad interventi invasivi deve essere cosciente della natura dell’operazione, delle sue caratteristiche tipiche (durata, degenza, riabilitazioni successive, lesioni permanenti, cicatriziali, ecc.) e dei rischi per le complicanze prevedibili per lo specifico intervento.
In particolare, non solo nel caso in cui si può presumere un diniego in caso di specifica informazione, ma anche nei casi in cui si può ritenere che il paziente, seppur informato adeguatamente, non si sarebbe sottratto all’intervento, la mancata o incompleta informazione, pur in assenza di danni alla salute, determina una violazione e lede il diritto alla autodeterminazione da cui il diritto al risarcimento.


Tribunale civile di Campobasso del 4 febbraio 2014 n. 98
Correttezza o meno del trattamento e illecito per consenso informato viziato
La violazione del cd. consenso informato e il danno conseguente va valutato preliminarmente ed autonomamente rispetto a quello legato alla negligenza del medico sanitario, in quanto prescinde dall'esito della prestazione sanitaria. La responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell'obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Ai fini della configurazione di siffatta responsabilità, è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell'esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso, ovvero riconducibile, ancorché nel quadro dell'unitario rapporto in forza del quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario concretatesi nello svolgimento dell'attività di esecuzione del trattamento. La correttezza o meno del trattamento, dunque, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, atteso che è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell'ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni e che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell'art. 32, comma 2, Cost., quanto dell'art. 13 Cost. e dell'art. 33 della L. n. 833 del 1973, che esclude la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità. L'omissione delle informazioni necessarie costituisce una forma di responsabilità contrattuale, giacché l'informazione al paziente e l'ottenimento di un consenso effettivo e rilasciato nella consapevolezza di quanto si sta per attuare, costituisce parte del più ampio rapporto, qualificato come di tipo contrattuale, che si instaura tra paziente e medico. Tale lesione va ad incidere su un bene primario e costituzionalmente protetto che comporta il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali. E' compito del paziente allegare l'inadempimento contrattuale, mentre il medico dovrà fornire la prova circa la non imputabilità di tale inadempimento, senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell'informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone. In tal senso, non è sufficiente la sottoscrizione di un generico modulo dal quale non è possibile desumere che il paziente abbia ottenuto tutte le informazioni necessarie. (Tutto ciò premesso, nella fattispecie, ove la parte attrice ha lamentato come i medici convenuti avessero omesso di fornirle indicazioni corrette ed esaustive al fine di permetterle di esprimere un valido consenso informato circa il trattamento chirurgico cui è stata sottoposta e, in particolare, con riferimento ai possibili esiti negativi dello stesso, si è rilevata l'assenza della prova dell'adempimento del predetto dovere da parte dei medici convenuti. Conseguentemente, i medici convenuti sono stati ritenuti inadempimenti alle loro obbligazioni contrattuali, sì da ledere il diritto all'autodeterminazione dell'attrice, avente diritto al relativo risarcimento dei danni).


Cassazione Penale Sez. IV  28/04/2014 n.17801
Il rifiuto delle cure deve essere consapevole
In caso di rifiuto delle cure mediche, anche quando possano causarne la morte, il dissenso, per essere valido ed esonerare il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso , inequivoco e attuale.
In  particolare, non è sufficiente una generica manifestazione di dissenso formulata ex ante e in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, essendo invece necessario che il dissenso sia manifestato ex post, ovvero dopo che il paziente  sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e, soprattutto, sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure. 
Infatti il rifiuto delle cure mediche deve consistere nel consapevole e volontario comportamento del paziente che deve manifestare in forma espressa, senza possibilità di fraintendimenti, la volontà di sottrarsi al trattamento medico.  Pertanto al fine di operare una scelta consapevole è necessario che il paziente sia a conoscenza delle sue effettive condizioni dii salute, soprattutto sotto il profilo della loro gravità.


Cassazione Civile Sez. III 06/06/2014 n.12830
Chirurgia estetica: attenzione al consenso informato
Quando ad un intervento di chirurgia estetica consegue un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare, all'accertamento che di tale possibile esito il paziente non fosse stato compiutamente e scrupolosamente informato consegue ordinariamente la responsabilità del medico per il danno derivatone, quand'anche l'intervento sia stato correttamente eseguito. La particolarità del risultato perseguito dal paziente e la sua normale non declinabilità in termini di tutela della salute consentono infatti di presumere che il consenso non sarebbe stato prestato se l'informazione fosse stata offerta e rendono pertanto superfluo l'accertamento, invece necessario quando l'intervento sia volto alla tutela della salute e la stessa risulti pregiudicata da un intervento pur necessario e correttamente eseguito, sulle determinazioni cui il paziente sarebbe addivenuto se dei possibili rischi fosse stato informato.

In particolare:
“Questo dovere di informare è particolarmente pregnante nella chirurgia estetica, perché il medico è tenuto a prospettare al paziente la possibilità di conseguire un effettivo miglioramento dell’aspetto fisico, che si ripercuota anche favorevolmente nella vita professionale e in quella di relazione”.
“La particolarità del risultato perseguito dal paziente e la sua normale non declinabilità in termini di tutela della salute consentono di presumere, facendo richiamo alle categorie della razionalità e della normalità, che il consenso non sarebbe stato prestato se l’informazione fossa stata offerta”.
“Nel campo degli interventi non necessari (secondo la scienza medica del tempo), un intervento compiuto senza valido consenso perde qualsiasi fonte di legittimazione (in tal caso l’intervento diventa illegittimo ed espone chi lo compie a tutte le conseguenze della sua condotta”.


Cassazione Civile Sez. III 27/08/2014 n.18304
E’ dovere del medico informare anche sulle realtà della struttura
È contraria alla buona fede la condotta del medico che sottopone un paziente ad intervento presso struttura sanitaria inadeguata senza dare avviso di tale situazione e omettendo di indirizzarlo ad altra struttura idonea.
Infatti è dovere del medico dare una completa ed esaustiva informazione al paziente anche delle carenze strutturali e organizzative dell’ospedale o della casa di cura.
La violazione di questi obblighi comporta profili di responsabilità per eventuali falsi affidamenti, anche solo colposamente ingenerati, nel paziente.
In caso di attività in casa di cura si ricorda come per richieste risarcitorie alla struttura è ininfluente l’assenza di un rapporto di lavoro dipendente: l’appropriazione dell’attività altrui comporta anche l’assunzione del rischio per i danni che ne possono derivare.


N° 19731 Cassazione Civile sez.III del 19 settembre 2014
Consenso informato è fondamentale elemento di protezione del paziente
Il fondamento del consenso informato viene ad essere configurato come elemento strutturale dei contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio. Di conseguenza, l'inadempimento del debitore della prestazione di garanzia è idonea a ledere diritti inviolabili della persona, cagionando anche pregiudizi non patrimoniali.
L’informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico o su un trattamento sanitario per accertamenti in prevenzione o in preparazione, se costituisce di per sé un obbligo o dovere che attiene alla buona fede nella formazione del contratto ed è elemento indispensabile per la validità del consenso che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, è inoltre un elemento costitutivo della protezione del paziente con rilievo costituzionale.


Cassazione civile sezione III – sentenza n. 12205/2015
Interevento eseguito senza consenso: i benefici non compensano la perdita del diritto alla scelta di trattamenti meno demolitori
La possibilità di scegliere di non sottoporsi all’intervento è una eventualità che è preservata dal diritto al consenso informato. Quest’ultimo diritto consiste nella facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di rifiiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla in tutte le fasi della vita ivi compresa quella terminale. Pertanto la circostanza che l'intervento medico non preceduto da acquisizione di consenso sia stato, in ipotesi, risolutivo della patologia che il paziente presenta, non risulta idonea di per sé ad eliminare i danni conseguenti. Infatti il beneficio tratto dall'esecuzione dell'intervento in queste ipotesi non "compensa" la perdita della possibilità di eseguirne uno meno demolitorio e nemmeno uno che, se eseguito da altri, avrebbe provocato meno sofferenza.


Tribunale di Firenze  sez.II civile sentenza n.452 dell’ 11 febbraio 2015
Chirurgia Plastica – fondamentale il consenso informato
È onere del chirurgo, prima di procedere a un'operazione, al fine di ottenere un valido consenso del paziente, specie in caso di chirurgia estetica, informare questi dell'effettiva portata dell'intervento, degli effetti conseguibili, delle inevitabili difficoltà, delle eventuali complicazioni, dei prevedibili rischi coinvolgenti probabilità di esito infausto. Quando consegua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare, all'accertamento che di tale possibile esito il paziente non era stato compiutamente e scrupolosamente informato consegue ordinariamente la responsabilità del medico per il danno derivatone, quand'anche l'intervento sia stato correttamente eseguito. E la qualità di tale informazione nel caso di specie non è stata garantita, poiché non è affatto prospettata nel modulo la possibilità - anche statisticamente molto probabile - che si poteva manifestare come conseguenza dell'intervento una contrattura capsulare preprotesica tale da determinare la migrazione delle protesi verso l'alto in modo da lasciare flaccida la parte sottostante del seno e che potevano verificarsi le asimmetrie tra le due mammelle che avrebbero comportato la possibilità che i capezzoli si sarebbero rivolti verso il basso.


N° 2854 Cassazione civile sez. III del 13 febbraio 2015
Risarcimento del danno per mancato consenso informato
L'acquisizione del consenso informato, costituisce, anche in termini di responsabilità risarcitoria, una prestazione altra e diversa rispetto a quella dell'intervento.
Sono due diritti ben distinti e fondamentali quelli a cui si fa riferimento: cioè diritto all'espressa e consapevole adesione al trattamento ed il diverso diritto alla salute.
L’obbligo del consenso informato, che il medico deve ottenere dal paziente quale legittimazione e fondamento del trattamento sanitario, attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole e libera autodeterminazione; mentre il trattamento richiesto al medico attiene alla tutela del diverso, quanto fondamentale, diritto alla salute


Cassazione Penale sez.IV Sentenza n. 8527/2015
Morte bambino - medicina ayurvedica al posto di terapia antibiotica - rifiuto cure
l medico, anche se libero professionista, che cura un minore assume una posizione di garanzia. Viene meno al suo dovere quando non impedisce l'evento letale determinato dalla somministrazione di una terapia alternativa non efficace, di conseguenza, nel caso specifico, e’ responsabile di omicidio colposo per la morte del bimbo.
La sentenza affronta due questioni importanti: il limite del consenso informato quando è presente un minore ed il corretto comportamento che il medico deve tenere nel caso in cui i genitori rifiutino le cure, tanto più quando vengono sostituite da terapie non convenzionali.
Il sanitario, affermano i giudici: “è responsabile dell’interruzione delle terapie tradizionali, nonostante la scelta consapevole dei genitori, spettando in ogni caso al medico curante, non solo il compito di prospettare la certa inidoneità della terapia ayurvedica (di per sè sola insufficiente a garantire soluzioni terapeutiche realmente alternative a quella tradizionale) e dunque le reali conseguenze cui avrebbe condotto l'abbandono del percorso terapeutico tradizionale, bensì il dovere - a fronte di una scelta genitoriale orientata in termini così palesemente e gravemente rischiose per la salute del figlio minorenne - di coinvolgere nel processo decisionale i soggetti istituzionali preposti alla tutela pubblica del minore (il medico di base; il giudice tutelare; etc.) al fine di sollecitare un dialogo giuridicamente corretto e sostanzialmente più proficuo per l'individuazione del “best interest” del minore; dialogo tanto più essenziale (e giuridicamente doveroso) là dove venga prospettata l'adozione di cure che (per la prevalente destinazione a garantire un accettabile standard qualitativo di vita in un quadro di accertata inguaribilità) valgano a proporsi come forme terapeutiche meramente palliative o compassionevoli: soluzione estrema che i genitori devono ritenersi da soli non legittimati ad assumere, in assenza di un adeguato confronto con i soggetti istituzionalmente preposti al controllo e alla tutela del minore”.
Nella fattispecie, al sanitario venne contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, oltre che delle norme deontologiche e delle regole di scienza medica, per aver sottoposto un bimbo di cinque anni, affetto dalla nascita da fibrosi cistica, a trattamenti ayurvedici. Il bimbo morì a seguito alla riacutizzazione polmonare necrotizzante bilaterale in un quadro di fibrosi cistica. Situazione che avrebbe richiesto, secondo i giudici, una decisa risposta (immediato ricovero in sede ospedaliera; antibiogramma; somministrazione massiccia e mirata di antibiotici per via endovenosa) che il medico “ebbe clamorosamente ad omettere”.
Tesi contestata dal sanitario, secondo il quale i genitori avevano già interrotto le cure tradizionali prima di rivolgersi a lui ed avevano già interrotto la relazione con il pediatra. Il bambino che era già in condizioni critiche e si era limitato a sostenere il piccolo con la medicina alternativa, in perfetto accordo con i genitori che erano consapevoli dei limiti di quella pratica medica.


N° 21537 Cassazione penale sez. IV del 24 marzo 2015
Rilevanza penale per mancato o invalidità del consenso informato
Non è di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza di consenso, perché l'obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza.
Solo in un unico caso la mancata acquisizione del consenso potrebbe avere rilevanza come elemento della colpa e, precisamente, quando la mancata sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare, mediatamente, l'impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un'anamnesi completa.


N°6439 Cassazione cvile sez.III pubblicata il 31 marzo 2015
Verifica del consenso informato in una operazione routinaria ed ambulatoriale
La Corte di Cassazione ha affermato che la verifica del consenso in una operazione routinaria ed ambulatoriale per prassi avviene attraverso un colloquio orale, peraltro con un paziente già noto e curato, in epoca precedente. La prova orale è stata provata sia attraverso la produzione del sintetico modulo del consenso informato sia attraverso testimonianze qualificate come quella del prof. R. in merito alla prassi di formazione del consenso stesso.


Cassazione Civile sez. III sentenza n. 9331 dell’ 08 maggio 2015
Quando il danno è procurato da atto necessarion senza consenso
In presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, se non vi è stata adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non prevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’interevento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute. 


N°19212 Cassazione cvile sez.III pubblicata il 29 settembre 2015
Consenso informato in forma scritta
Nella sentenza n.19212 della Cassazione sezione terza civile  depositata il 29 settembre 2015 viene eccepita la forma  verbale di acquisizione del consenso.
La prova che un consenso informato sia stato effettivamente ed in modo esplicito prestato, può essere presuntiva, ma il  medico deve provarla.
E nella vicenda oggetto del contenzioso come mai, avendo ricevuto dalla paziente il consenso scritto per l’operazione al ginocchio destro, il chirurgo si è indotto ad operare (anche) quello sinistro, sulla base di un consenso asseritamente acquisito verbalmente dalla paziente, che non conosceva nemmeno l’italiano?
Si affaccia dunque il problema della forma di acquisizione del consenso: nessuna richiesta ai fini informativi e di acquisizione per la forma scritta, tuttavia la sottoscrizione sarebbe una prova certa e solo non presunta.

Ricordiamo il nuovo Codice deontologico:
Art. 35
Consenso e dissenso informato
L'acquisizione del consenso o del dissenso è un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non delegabile.
Il medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche  e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato.
Il medico acquisisce, in forma scritta e sottoscritta o con altre modalità di pari efficaciadocumentale, il consenso o il dissenso del paziente, nei casi previsti dall'ordinamento e dal Codicee in quelli prevedibilmente gravati da elevato rischio di mortalità o da esiti che incidano in modo rilevante sull'integrità psico-fisica.
Il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in tutti i processi decisionali che lo riguardano.


N° 4540  Cassazione civile sez.III del 3 dicembre 2015 pubblicata l’ 8 marzo 2016
Strutture ospedaliere - Dovere di informare
In carenza di apparecchiature adeguate la struttura ha il dovere di informare l’utenza sulla possibilità di ricorrere a centri più specializzati, ma attenzione il deficit organizzativo rimproverabile all’ente impone anche al medico, in particolare quando le apparecchiature tecniche non sono adeguate allo scopo, di darne informazione al paziente, segnalando anche ove possa rivolgersi per soddisfare i propri bisogni.
Quando un paziente si rivolge a una struttura sanitaria per esami diagnostici, la struttura ha l’obbligo di mettere a disposizione personale sanitario preparato e attrezzature idonee e efficienti.
“La struttura sanitaria è obbligata, proprio in base al citato contratto di spedalità, a mettere a disposizione non solo il personale sanitario, ma anche le necessarie attrezzature idonee ed efficienti. L'inadempimento (da parte della struttura sanitaria) dell'obbligazione da ultimo indicata genera l'ulteriore obbligo informativo anzidetto, che si pone a protezione del paziente e che grava non solo sulla struttura sanitaria, ma, questa volta, anche sul medico operante, il quale, pure se esente da colpa professionale nella fase esecutiva del suo intervento, è comunque tenuto ad avvisare il paziente della inadeguatezza degli strumenti diagnostici, così da non determinare in esso l'insorgere di un incolpevole affidamento sulla sicura bontà dell'esame strumentale.
Ed è proprio in tale prospettiva che questa Corte ha affermato doversi ravvisare la colpa del medico che ometta di attivarsi per il trasferimento di un paziente in una struttura ospedaliera più idonea ove in quella di ricovero non possa essere adeguatamente curato (Cass., 22 ottobre 2014, n. 22338).
Dunque, l'obbligo protettivo di informazione nasce in uno con l'inadempimento, da parte della struttura sanitaria,dell'obbligo di adeguatezza organizzativa in rapporto all'assunzione della prestazione di spedalità in favore del paziente nonostante il deficit organizzativo. Sicché, il principio enunciato dalla decisione del 2011 non impone sempre e comunque alla struttura sanitaria ed al medico strutturato (che abbia correttamente operato in base agli strumenti diagnostici a sua disposizione) di indirizzare la paziente ad un centro ecografico di più elevata specializzazione, ma soltanto ove le apparecchiature tecniche non siano adeguate allo scopo; ossia - nella specie – non fossero tali da fornire una risposta corretta e completa in ordine alla diagnosi morfologica del feto diversamente da altri strumenti ecografici presenti in strutture sanitarie diverse”.

L'informazione - Deve prevedere una descrizione della metodica e delle alternative terapeutiche, le possibilità di successo, i rischi, gli effetti collaterali.

In particolare:
- l'obbligo di informazione si estende anche ai rischi specifici determinati da scelte alternative per consentire al paziente l'orientamento verso una delle scelte possibili valutando coscientemente i rischi e i vantaggi;
- l'obbligo di informazione si estende ai rischi prevedibili e non anche agli esiti anomali al limite del fortuito dovendosi contemperare la esigenza dell'informazione con la necessità di evitare che il paziente eviti di sottoporsi ad un banale intervento;
- l'informazione deve estendersi anche allo stato, alle dotazioni e alle attrezzature della struttura sanitaria e alla loro efficienza.

Cass.civ.sez.III, 07.12.2016, n. 24072
Se manca il principio di allegazione il risarcimento non spetta
Con riferimento al danno da autodeterminazione è necessario che chi invoca la lesione del diritto all'autodeterminazione (da violazione del diritto ad esprimere un valido consenso su un intervento chirurgico poi subito), alleghi in modo specifico (così fornendo al giudice precisi elementi di fatto noti dai quali ricavare, in via presuntiva, i fatti ignoti che si intende provare) che, a causa dell'omessa o incompleta informazione, ha perso (in via tra loro cumulativa o alternativa) la possibilità di autodeterminarsi scegliendo, in modo meditato, il luogo ove eseguire l'intervento chirurgico poi effettuato, i medici dai quali farsi operare, i tempi dell'intervento nonché la possibilità di elaborare la necessità del predetto intervento (in tal modo abituandosi all'idea di essere costretto a subire un intervento chirurgico). Precludere tali possibilità di scelta, integra danno conseguenza perché si concreta nella privazione della libertà del paziente di autodeterminarsi circa


N° 10414 Cassazione civile sez.III del 18 dicembre 2015 pubblicata il 20 maggio 2016
Danno da mancato consenso informato
L'acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l'intervento terapeutico, di talché l'errata esecuzione di quest'ultimo dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell'obbligo di informazione, anche in ragione della diversità dei diritti rispettivamente, all'autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all'integrità psicofisica - pregiudicati nelle due differenti ipotesi.


Cassazione Civile Sentenza n. 8035/16
Diritto del paziente al consenso informato
Il medico ha il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell'intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonchè delle implicazioni verificabili. L'acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell'intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell'eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente. Va al riguardo ulteriormente posto in rilievo come il medico venga in effetti meno all'obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura cui dovrà sottoporsi, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando acquisisca il consenso dal paziente con modalità improprie.


Tribunale di Caltanissetta 21 novembre 2016
Diritto alla informazione
L’informazione deve essere adeguata al grado culturale e alle conoscenze del paziente e deve concernere lo scopo e la natura dell’intervento, nonché le sue conseguenze e i suoi rischi.
Deve consentire al paziente di scegliere se restare nelle condizioni che secondo il medico imporrebbero l’intervento.
Poiché l’informazione ha la funzione di permettere al paziente di autodeterminarsi., la responsabilità non viene meno nemmeno nel caso in cui l’intervento abbia avuto esito fausto e integralmente risolutivo della patologia lamentata.


Trib. Corte d’Appello di Napoli 30.01.2017, n.393
Consenso informato in Chirurgia estetica

Se da un intervento di chirurgia estetica derivi un inestetismo più grave di quello che si voleva eliminare o attenuare e il paziente non ne era stato informato, il medico sarà responsabile anche se l’operazione sia stata ben eseguita


N°4362 Tribunale Tivoli GIP ordinanza dell’ 11 febbraio 2017
Assenza di consenso e consenso negativo
Dal Gip viene sottolineata la differenza tra consenso assente e diniego del consenso: il trattamento medico eseguito in assenza del prescritto consenso non integra il reato di cui all’art. 610 c.p, poiché non può affermarsi che il chirurgo, compiendo sul paziente incosciente un determinato atto operatorio ( o, nel caso in questione, eseguendo una emotrasfusione) non preventivamente consentito, compia nel suoi confronti una violenza nel senso fatto proprio dall'art. 610 c.p. Tale conclusione, però, vale solo nel caso in cui il trattamento medico sia stato praticato in «assenza» del prescritto consenso (Cassazione Sezioni Unite sentenza 2437 del 18.12.2008).
Al contrario, invece, in caso di un espresso dissenso alla emotrasfusione manifestato del paziente ancora in stato di lucidità, e confermato per iscritto poi dall'amministratore di sostegno (consenso negativo alla emotrasfusione, sgravando da ogni responsabilità medici e ospedale) lo stesso giorno in cui il medico lo interpellò per comunicare l'imminente pericolo di vita della e la necessità di trasfusione.


Tribunale di Roma sez.XIII sentenza n. 802/2017
Il consenso informato non può limitarsi ad una elencazione di possibili complicanze
Il consenso informato non deve limitarsi ad una elencazione di possibili complicanze, ma da un lato deve spiegarne il significato e dall'altro deve indicare se le stesse siano più o meno probabili in relazione alle concrete condizioni fisiche della paziente.
Si tratta, infatti, non di fornire informazioni che potrebbero essere tratte da una pagina di un qualsiasi testo, ma di spiegare al paziente, in relazione alle sue concrete condizioni ed alle caratteristiche della sua patologia il tipo di intervento, i possibili effetti positivi e negativi, i possibili rischi determinati non solo sulla base della generica ricorrenza statistica ma adattati alle sue concrete condizioni fisiche, il tutto spiegato con termini chiari che consentano al paziente di capire, e nel caso che sia redatto un modulo scritto, che consentano al giudicante di ricostruire se quanto prospettato era effettivamente quando doveva essere detto e se ciò che è stato detto corrispondeva alla migliore scienza medica del momento.


Tribunale di Napoli sez.VIII sentenza n. 4071/2017
La sottoscrizione dei moduli di consenso informato non esclude la responsabilità

Non possono assumere rilevanza alcuna i profili attinenti all'avvenuta sottoscrizione dei moduli di cd. "consenso informato"; come emerso dalla relazione di Consulenza Tecnica d'Ufficio, si è trattato non già dì mere complicanze scaturite da un intervento chirurgico correttamente realizzato, ma piuttosto di esiti lesivi derivati da un'ipotesi di negligenza e, dunque, di prestazione medico - chirurgica inadeguatamente eseguita. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, pur sussistendo il consenso consapevole, ben può configurarsi responsabilità da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita; il consenso prestato dal paziente è irrilevante, poiché la lesione della salute si ricollega causalmente alla colposa condotta del medico nell'esecuzione della prestazione terapeutica, inesattamente adempiuta dopo la diagnosi. (Avv. Ennio Grassini - in Diritto Sanitario)


Cassazione Civile Sentenza n. 16503/2017
Mancato consenso informato e risarcimento del danno

Il medico ha il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell'intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili; pertanto l'acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell'intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell'eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente.


Cassazione Civile sez.I Sentenza numero 14158/2017
Amministratore di sostegno e direttive anticipate per le cure
La designazione anticipata consentita dall’art. 408 c. 1 non ha soltanto la funzione di indicare al giudice la persona da nominare come Amministratore di sostegno per il rapporto di fiducia che li lega, ma il designante ben può indicare le sue intenzioni sugli interventi che si rendessero necessari in caso di futura incapacità, volontà le quali dovranno poi essere espresse dal soggetto designato.


Cassazione Civile sez.VI Sentenza numero 4989/2016
I requisiti per definire incompleta la cartella clinica
L'incompletezza della cartella clinica può, a determinate condizioni, costituire un elemento di prova a svantaggio del medico, e non a suo favore. La giurisprudenza, tuttavia, non ha stabilito un rigido automatismo tra incompletezza della stessa e responsabilità del sanitario, ma ha individuato il principio secondo il quale le carenze del documento, intanto possono far presumere l'esistenza d'un nesso di causa tra la condotta del sanitario ed il danno, quando concorrano con esse due condizioni:
(a) la condotta del sanitario sia stata astrattamente idonea a provocare l'evento;
(b) l'impossibilità di accertare l'esistenza del nesso di causa tra condotta del medico ed evento di danno dipenda unicamente dall'incompletezza della cartella clinica.


Consiglio di Stato sez.III sentenza numero 3058/2017
Esiste il diritto al rifiuto del trattamento terapeutico in atto, comprensivo del sostegno vitale artificiale
Benché sia stato talora prospettato un obbligo per l'individuo di attivarsi a vantaggio della propria salute o un divieto di rifiutare trattamenti o di omettere comportamenti ritenuti vantaggiosi o addirittura necessari per il mantenimento o il ristabilimento di essa, il Collegio ritiene che la salute dell'individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c'è spazio - nel quadro dell'"alleanza terapeutica" che tiene uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno - per una strategia della persuasione, perché il compito dell'ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c'è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c'è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico.


Tribunale Milano sez 1°, 24/07/2017, n.8243
Limiti alla responsabilità del chirurgo plastico e consenso informato
Nella sentenza vengono affrontate più questioni relative alla responsabilità medica, ponendo in particolare dei limiti alla responsabilità del chirurgo plastico.
Il Giudice, con particolare riferimento alla chirurgia estetica, ha osservato che “a prescindere dalla qualificazione dell’obbligazione in esame come di mezzi o di risultato (cfr. sul punto Cass. 10014/1994 che propende per la qualificazione come obbligazione di risultato e Cass. 12253/1997 che qualifica l’obbligazione del chirurgo estetico come obbligazione di mezzi), è indubbio che chi si rivolge ad un chirurgo plastico lo fa per finalità spesso esclusivamente estetiche e, dunque, per rimuovere un difetto, e per raggiungere un determinato risultato, e non per curare una malattia. Ne consegue che il risultato rappresentato dal miglioramento estetico dell’aspetto del paziente non è solo un motivo, ma entra a far parte del nucleo causale del contratto, e ne determina la natura”.
Nel caso concreto, ha poi condiviso le risultanze cui è pervenuta la CTU, che esclude la responsabilità del medico sulla circostanza che l’intervento sia stato eseguito a regola d’arte e sulla mancanza agli atti di documentazione oggettiva comprovante il nesso di causalità tra la condotta del chirurgo e la sintomatologia lamentata dalla paziente.
La responsabilità del medico viene esclusa anche in ordine alla dedotta lesione del diritto al consenso informato, dal momento che l’attrice non ha assolto all’onere sulla stessa gravante e il convenuto, d’altro canto, ha provato l’adempimento dell’obbligazione di compiutamente informare la paziente dei rischi e delle complicazioni legate all’intervento eseguito.
Il Giudice conclude così precisando: “grava sul paziente l’onere di dimostrare:
i) la sussistenza del nesso causale tra la lesione del suo diritto alla autodeterminazione e la lesione della salute derivante da una prevedibile conseguenza di un intervento chirurgico correttamente eseguito ma non correttamente assentito dal paziente (dovendo il paziente provare, anche mediante presunzioni, che ove adeguatamente informato avrebbe rifiutato l’intervento);
ii) la sussistenza del danno derivante dalla mancata informazione, danno declinabile sia in termini di lesione del diritto alla salute (per le conseguenze invalidanti derivate dall’intervento) sia in termini di lesione del diritto all’autodeterminazione (purché ne sia derivato un pregiudizio non patrimoniale di apprezzabile entità)”.


Cass. pen. sez. IV, 19/10/2017, n.50078
Responsabilità medica - Imperizia e responsabilità
Nella nuova legge sulla responsabilità del medico stabilisce come “causa di «non» punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso) nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta imperita della applicazione delle stesse (secondo comma dell'art. 590-sexies cod. pen. articolo introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 c.d. legge Gelli-Bianco)”.


Cass. civ. sez. III, 14/11/2017, n.26827
Consenso informato e modulistica prestampata

Un documento prestampato, in quanto privo di data e non contenente il nome della paziente, non è sufficiente a provare l'adempimento, da parte dell'azienda ospedaliera, dell'obbligo di acquisire un valido consenso informato.

“la sottoscrizione di un modulo di «consenso informato» del tutto generico da parte del paziente non è idonea a far presumere che il medico a ciò obbligato abbia comunicato oralmente al paziente tutte le informazioni necessarie che egli era contrattualmente obbligato a fornire a tal fine”


Cass. civ. sez.III 22/12/2017 n. 7516
Omessa informazione al paziente non rileva se consapevole
Il paziente quale titolare del diritto alla salute non può compiere nessuna scelta consapevole, se non sa a quali conseguenze si espone adottando una terapia piuttosto che un'altra". Ma se sa perfettamente quali sono la natura, le conseguenze, i rischi e le alternative di un intervento, l’eventuale inadempimento da parte del medico dell’obbligo di informazione diventa giuridicamente irrilevante mancando il nesso di causalità tra l’inadempimento e le conseguenze dannose del «vulnus» alla libertà di autodeterminazione.
Infatti qualsiasi conseguenza svantaggiosa va ricondotta alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che a una mancanza informativa del medico.
Inoltre, sebbene il consenso del paziente non possa mai ritenersi presunto, lo stesso può tuttavia essere provato dal medico in via presuntiva


Cass. civ. sez.III 9/01/2018 n. 7250
Omessa o difettosa tenuta della cartella clinica
Questa Corte, chiamata ad occuparsi di casi in cui la ricostruzione delle modalità e della tempistica della condotta del medico non poteva giovarsi delle annotazioni contenute nella cartella clinica, a causa della omessa tenuta o lacunosa redazione della stessa, ne ha costantemente addossato al professionista gli effetti, vuoi attribuendo alle omissioni nella compilazione della cartella il valore di nesso eziologico presunto, vuoi ravvisandovi una figura sintomatica di inesatto adempimento, essendo obbligo del medico – ed esplicazione della particolare diligenza richiesta nell’esecuzione delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale ex art. 1176 c.c. – controllare la completezza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati. Al riguardo, è stato precisato come la difettosa tenuta della cartella non solo non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra condotta colposa dei medici e patologia accertata, ma consente il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova e al rilievo che assume a tal fine il già richiamato criterio della vicinanza della prova, e cioè la effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla. Pertanto l’ipotesi di incompletezza della cartella clinica va ritenuta circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza d’un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, operando la seguente necessaria duplice verifica affinché quella incompletezza rilevi ai fini del decidere ovvero, da un lato, che l’esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella; dall’altro che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno, incombendo sulla
struttura sanitaria e sul medico dimostrare che nessun inadempimento sia a loro imputabile ovvero che esso non è stato causa del danno, incombendo su di essi il rischio della mancata prova.


Cass. pen. sez.IV 12/01/2018 n. 15178
Parcellizzazione della medicina specialistica
Nel gioco delle tre “m” (malato - medico - medicina) il malato è al centro del rispetto e dell’attenzione del medico nel vortice della medicina, espressione di cure verso il bene salute.
Ma nell’esasperato concetto del razionamento delle risorse, più che all’uomo da curare oggi si guarda a un budget da rispettare, anche se in sanità il bene salute, non è commercializzabile, non è una scarpa o un chilo di patate, è un bene supremo.
Esasperati dalla «iperspecialistica» il paziente è parcellizzato, non visto e curato nel suo insieme, ma spezzato in tanti pezzi: il cuore, il polmone, il ginocchio destro piuttosto che il sinistro e così via e il medico nel vortice della cura veloce e della parte anatomica sembra dimenticare il malato individuo nel suo complesso.
Di recente la Cassazione ha censurato il comportamento di un medico: lo specialista non deve limitarsi a curare un paziente in base alla sua specializzazione; infatti: se da questa non risultano danni evidenti dallo stato di salute dell’assistito, deve proseguire gli accertamenti dimostrando flessibilità che lo porti a considerare patologie non del proprio campo e deve sottoporre il paziente a ulteriori e diversi accertamenti.


Cass. civ. sez.III 10/01/2018 n. 9180
Danno da lesione da consenso informato
In tema di responsabilità del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento. E la mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori quando siano configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in sé considerato, del tutto a prescindere dalla lesione incolpevole della salute del paziente.


Cass. civ. sez.III 24/01/2018 n. 7260
Se la diagnosi è tardiva il paziente va risarcito
La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di chances connesse allo svolgimento di singole specifiche scelte di vita non potute compiere, ma nella lesione di un bene già di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere, una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico di una condizione patologica ad esito certamente infausto (da parte dei sanitari convenuti), l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno così inferto sulla base di una liquidazione equitativa.


Cass. civ. sez.III 31/01/2018 n. 2369
Consenso informato
Con specifico riferimento al riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti, occorre ribadire: da un lato, che il consenso del paziente all’atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita; presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico; dall’altro, che, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute.
a cura di Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO


Cass. civ. sez.III 31/01/2018 n. 2369
Consenso incompleto
Una informazione assente, così come una incompleta, lede il diritto del paziente alla autodeterminazione.
Condannato un ospedale a risarcire il danno ai familiari di una donna deceduta per tumore alla mammella dopo che le erano stati effettuati diversi esami dai quali si evidenziava la malattia ma senza che i medici avessero debitamente informato la paziente stessa della gravità del suo stato di salute.


Trib.Modena sez.II civile - 18/01/2018 n. 136/2008
Il consenso deve essere chiaro
Il Tribunale di Modena (decreto 18 gennaio 2018), anche in base alla legge sul biotestamento (219/2017), tenendo presente che
“è noto come si possa prescindere dal consenso informato del paziente in materia medico¬-sanitaria in presenza di situazione di urgenza, ovvero, di uno stato di necessita ed a fronte di una condizione di incoscienza della persona. In tal caso, in forza del codice di deontologia medica (art. 36: "il medico assicura l'assistenza indispensabile, in condizioni d'urgenza e di emergenza, nel rispetto delle volontà espresse tenendo canto delle dichiarazioni anticipate di trattamento se manifestate") l'operazione compiuta dal personale sanitario è scriminata ex art. 54 c.p. ed ex art. 2045 c.c. Analogamente, dispone l'art. 1, comma 7, della legge 22 dicembre 2017, n. 219, (pubblicata sulla G.U. n. 12 del 16 gennaio 2018 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” che recita: “Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell'equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla”)”
ha ritenuto che
“nella fattispecie (paziente con volontà poco chiare espresse in precedenza, in stato di incoscienza, per il quale l’amministratore di sostegno a cui era stato affidato aveva chiesto al Tribunale l’autorizzazione per una tracheotomia), pare sussistente uno stato di necessità, essendo indispensabile compiere un intervento "salvavita" a beneficio del paziente, difettando alternative terapeutiche di sorta”.
E quindi che
“compete alla responsabilità del personale medico-sanitario assicurare al paziente cure necessarie alla sua sopravvivenza sussistendo uno stato di necessita, senza che il consenso informato della persona in materia possa essere sostituito e surrogato dall’amministratore di sostegno (arg. ex art. 3, comma 4, legge n. 219/2017)”.

In sintesi:
1. in caso di intervento salva vita e in condizioni di contraddittorietà dell'espressione della volontà del paziente a decidere è comunque l'équipe medica;
2. la contraddittorietà della volontà del paziente nel momento in cui questa poteva essere espressa toglie il dubbio sull'intervento medico da eseguire che in questo caso deve privilegiare la vita, anche in presenza di volontà contraria eventuale dell'amministratore di sostegno (che in questo caso tale volontà negativa non c'era).


Tribunale sez.II civile di Bari – 19/02/2018 n. 753
Consenso informato in chirurgia estetica
A prescindere dalla qualificazione dell’obbligazione in esame come di mezzi o di risultato, è indubbio che chi si rivolge ad un chirurgo plastico lo fa per finalità spesso esclusivamente estetiche e, dunque, per rimuovere un difetto, e per raggiungere un determinato risultato, e non per curare una malattia.
Ne consegue che il risultato rappresentato dal miglioramento estetico dell’aspetto del paziente non è solo un motivo, ma entra a far parte del nucleo causale del contratto, e ne determina la natura (vedi rif. sentenza Trib.Milano n.8243/2017)
Dunque quando ad un intervento di chirurgia estetica consegua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare, all’accertamento che di tale possibile esito il paziente non era stato compiutamente e scrupolosamente informato consegue ordinariamente la responsabilità del medico per il danno derivatone, quand’anche l’intervento sia stato correttamente eseguito.
Inoltre in caso poi di consenso incompleto considerato che lo scopo della chirurgia estetica esula dalla tutela della salute del paziente ed è finalizzato al miglioramento estetico della persona, si può presumere che il paziente non avrebbe prestato il suo consenso all’intervento qualora debitamente informato che all’intervento sarebbe potuto conseguire un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare.


Cass. civ. sez.III 19/03/2018 n. 6688
Informazione non completa
Il referto scritto non esaurisce il dovere del medico in quanto rientra negli obblighi di ciascun medico, come statuito nel codice deontologico, il fornire al paziente tutte le dovute spiegazioni sul suo stato di salute, tenendo peraltro conto… anche delle capacità di comprensione dell’interlocutore, per cui per il radiologo “il suo lavoro di comunicazione non può e non deve esaurirsi solo tramite quel referto”, “strumento comunicativo in linguaggio tecnico”. “Nel caso, quindi, in cui un medico effettua un esame diagnostico entrando in diretto contatto con il paziente – come nell’ipotesi, per esempio, di un’ecografia o di una radiografia -, stilare un referto in termini scientifici sul suo risultato non è adempimento dell’obbligo di informazione, bensì adempimento, nella parte conclusiva, dell’obbligo di effettuazione dell’esame. Non potendosi certo ritenere che, per quanto già rilevato, l’obbligo di informazione • debba investire esclusivamente la sottoposizione a trattamenti terapeutici, in quanto include anche i risultati diagnostici, comprese per logica le correlate conseguenze di essi, • l’informazione in termini non professionalmente criptici bensì adeguati alle conoscenze e allo stato soggettivo del paziente del significato del referto nonché delle conseguenze che se ne dovrebbero trarre – individuate, logicamente, pure sul piano temporale – in termini ulteriormente diagnostici e/o terapeutici costituisce il presupposto per l’esercizio del diritto di autodeterminazione del soggetto esaminato, id est il presupposto delle sue scelte successive. Un’informazione incompleta, al pari di una informazione assente, lede pertanto tale diritto del paziente; ed incompleta non può non essere un’informazione che non spieghi le caratteristiche di gravità o di rischio di gravità di quanto riscontrato, e che non segnali la presenza di un’eventuale urgenza in modo specifico e ben percepibile, in considerazione anche delle sue conoscenze scientifiche, dal paziente. In conclusione, la corte territoriale ha “atrofizzato” gli obblighi professionali del medico C. nell’effettuazione della prestazione – nel senso di esatta diagnosi e di esatta individuazione di quanto conseguentemente sarebbe occorso -, non prendendo in considerazione l’obbligo informativo del suo risultato alla paziente, obbligo che non si adempie mediante una illustrazione tecnica e atemporale, ma deve consistere in una traduzione della diagnosi al livello di conoscenza scientifica del paziente sia sotto l’aspetto del significato • intrinseco, sia sotto il conseguente aspetto dei limiti temporali entro cui effettuare ulteriori iniziative diagnostiche o iniziative terapeutiche, ovvero ulteriori scelte da parte del paziente”.
a cura di Marcello Fontana - Ufficio legislativo Fnomceo


Cass. civ. sez.III 23/03/2018 n. 7248
Danni da violazione del dovere di corretto consenso informato
Il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative.
In particolare, a una corretta e compiuta informazione consegue:
1. il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico;
2. la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari;
3. la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie;
4. il diritto di rifiutare l'intervento o la terapia - e/o di decidere consapevolmente di interromperla;
5. la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell'intervento, ove queste risultino, sul piano post¬ operatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanta inaspettate (per il paziente) a causa dell'omessa informazione”.
Inoltre, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, mentre non è possibile acquisire il consenso attraverso la sottoscrizione di un modulo del tutto generico; l'obbligo di fornire un'idonea informazione al paziente non è realizzato dal medico quando il consenso sia acquisito con modalità improprie, sicché non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente.


Cass. civ. sez.III 20/03/2018 n.10608
Consenso informato – Violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente con danno alla salute e con danno da lesione del diritto alla autodeterminazione

La violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale diverso dalla lesione del diritto alla salute;ciò è a dirsi nell’ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze probabili (non anche quelle assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive.
a cura di Marcello Fontana - Ufficio legislativo Fnomceo


Trib. Termini Imerese 06/04/2018 n.465
Consenso informato – Diniego alla trasfusione

Medico condannato in sede penale per aver emotrasfuso un testimone di Geova che aveva posto diniego alla trasfusione.
In particolare,
“la condotta tenuta dall'imputato, oltre che costituire illecito penale, costituisce anche illecito civile nei confronti del soggetto portatore dell'interesse penalmente tutelato, poiché la lesione dell'interesse protetto dalla norma penale costituisce danno ingiusto ai sensi dell'art. 2043 c.c. L'imputato va, quindi , condannato al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile in conseguenza della condotta illecita … rinviandosi, in mancanza agli atti di idonei elementi di quantificazione, al competente giudice civile per la loro completa liquidazione”.


Cass. pen. sez.IV 18/04/2018 n.31628
Responsabilità medica: l'urgenza esclude il consenso

Dalla posizione di garanzia del medico discende l'obbligo di procedere alle cure necessarie al paziente ogniqualvolta vi sia una situazione di pericolo per la sua integrità fisica
L'omesso consenso del paziente non necessariamente comporta la responsabilità penale del sanitario per lesioni personali o violenza privata (art. 610 c.p.: quando “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”).
Infatti, se l'intervento è stato eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, ha comportato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente e si è quindi concluso con esito fausto, il medico non può essere chiamato a rispondere penalmente del proprio operato.
Si tratta di un principio già da tempo sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza numero 2437/2008.


Cass.civ.sez.III 10/11/2017 dep. 20/04/2018  n.9806
Nel consenso informato basta il disegno?

Il medico ha a disposizione diverse modalità per informare adeguatamente il paziente. È però sempre indispensabile che le spiegazioni siano dettagliate e adeguate al suo livello culturale.
Con la sentenza numero 9806/2018, la  Corte di cassazione ha ritenuto valida l'informazione circa un intervento chirurgico per la rimozione di un tatuaggio resa anche disegnando direttamente sul corpo del paziente il taglio che sarebbe stato fatto e così prospettando concretamente gli esiti cicatriziali che sarebbero derivati dall'operazione.
Di fondamentale importanza che le «spiegazioni siano dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone».


Cass. civ. sez.III 15/05/2018 n.11749
Mancanza di consenso informato e danno alla capacità di autodeterminazione

Se un intervento chirurgico non ha esito positivo e il paziente lamenta un mancato consenso informato, è lui a dover dimostrare che, se lo avesse avuto in modo corretto, non si sarebbe fatto operare. Ma è anche vero che gli spetta comunque il danno non patrimoniale da mancata richiesta e, quindi, l’impossibilità di autodeterminarsi.


Cass. civ. sez.III 08/06/2018 n.26728
Omesso consenso informato

In tema di consenso medico informato riguardo all’esecuzione di un intervento operatorio, qualora risulti, come nella specie, che esso è stato eseguito da un sanitario come capo dell’équipe medico-chirurgica, ma che altro sanitario, che abbia partecipato all’operazione in qualità di aiuto-chirurgo, sia stato quello che ha consigliato al paziente l’esecuzione dell’intervento, erroneamente la sentenza di merito, avendo accertato il difetto del consenso informato, riferisce la responsabilità al solo capo dell’équipe medica, ancorché egli abbia eseguito l’intervento, e non anche all’aiuto-chirurgo, giacché costui, nell’eseguire la propria prestazione con il consigliare l’intervento, deve reputarsi anch’egli responsabile di non avere assicurato l’informazione dovuta.


Cass. civ. sez.III 27/06/2018 n.24189
Responsabilità medica: chi si trova in stato vegetativo va curato

Chi versa in uno stato vegetativo permanente è una persona in senso pieno e i suoi diritti fondamentali vanno rispettati e tutelati. Infatti è una "persona in senso pieno", con la conseguenza che la sua "non vita" non può mai essere considerata un “bene della vita".


Cass. civ. sez.III 22/08/2018 n.20885
Omesso consenso informato - I distinguo della Cassazione

Vanno tenute distinte le ipotesi in cui il paziente lamenti un danno alla salute da quelle in cui lamenti la lesione del diritto all'autodeterminazione.
Per i giudici vanno tenute distinte due ipotesi:
- quella in cui la lesione del diritto al consenso informato ha determinato, anche in maniera incolpevole, delle conseguenze lesive per la salute del paziente, per le quali quest'ultimo chiede quindi il risarcimento del danno alla salute,
- quella in cui il paziente, a seguito dell'omesso consenso, fa valere solo la lesione al suo diritto all'autodeterminazione, che comunque discende dalla violazione del relativo obbligo da parte del medico e della struttura sanitaria.
Danno alla salute
Nel caso di danno alla salute derivante dall'omesso consenso informato, il paziente può essere risarcito solo nella misura in cui alleghi e provi che se fosse stato compiutamente informato avrebbe rifiutato di sottoporsi alla terapia che gli è stata praticata.
Lesione del diritto all'autodeterminazione
Se il paziente lamenta invece la lesione del proprio diritto a una consapevole autodeterminazione, non è necessaria la prova del rifiuto del trattamento in caso di compiuta informazione.
Tuttavia ciò non vuol dire, per i giudici, che tale danno sia incondizionatamente risarcibile.
Occorre, infatti, che sia superata la soglia della gravità dell'offesa, da determinarsi secondo il parametro della coscienza sociale in un determinato momento storico.
Inoltre, va provata l'esistenza di pregiudizi che possono essere ricondotti al trattamento e che, per la Corte, possono consistere anche nei disagi e nelle sofferenze conseguenti alle modalità e ai tempi di esecuzione del trattamento stesso.


Cass.civ.sez.III 13/09/2018  n.30852
Anche i rischi “minimi” per un paziente devono rientrare chiaramente nel consenso informato.

Secondo la Cassazione la Corte d’Appello ha sbagliato nel non riconoscere il venir meno del diritto del paziente a essere informato dei rischi reali, e non vaghi e generici, stampati su un modulo e ha accolto il motivo del ricorso dell'erede di un paziente deceduto relativo alla violazione del suo diritto al consenso informato.
Cassa la sentenza e la rinvia alla Corte d'Appello in diversa composizione perché decida sul quantum da corrispondere.


Cass.civ.sez.III 05/10/2018  n.31234
Colpa medica - La prova del danno in caso di omesso consenso informato
In caso di intervento medico salva vita correttamente eseguito, ma che il paziente avrebbe rifiutato se, al contrario di quanto avvenuto, fosse stato adeguatamente informato, il risarcimento del danno non spetta a prescindere. Per poter essere risarciti delle conseguenze imprevedibili dell'atto terapeutico eseguito secondo le leges artis è infatti necessario dimostrare che, in caso di corretta informazione, l'intervento sarebbe stato rifiutato.
Nel giudicare simili situazioni, il giudice del merito, secondo la Corte di cassazione, deve accertare se il corretto adempimento dei doveri informativi da parte dei sanitari avrebbe prodotto l'effetto della non esecuzione dell'intervento dal quale sia poi derivato, senza colpa, lo stato patologico o se avrebbe consentito al paziente di prepararsi e predisporsi ad affrontare il periodo post-operatorio con la "piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo".


Cass.civ.sez.III 03/04/2018 dep. 17/01/2019  n.1043
La clinica paga anche se il medico non è un suo dipendente

La struttura risponde dell'omessa acquisizione del consenso anche se questa costituisce una prestazione diversa rispetto a quella oggetto dell'intervento. Infatti la struttura risponde a titolo contrattuale dei danni subiti dal paziente, per fatto proprio, sia quando questi siano dipesi dalla sua inadeguatezza, sia quando siano dipesi dalla colpa dei sanitari dei quali si avvale, anche se non sono suoi dipendenti. Inoltre non trova ostacolo nella circostanza, pur ritenuta vera e ribadita, che l'acquisizione del consenso informato costituisce una prestazione del sanitario altra e diversa rispetto a quella che ha a oggetto l'intervento terapeutico.


Cassazione sez. III civile sentenza n. 6449 dep. 06/03/2019
Manca il consenso informato, i medici risarciscono il paziente
Se manca il consenso informato, i sanitari sono tenuti a risarcire il paziente delle conseguenze dannose derivate da un intervento anche se questo è stato correttamente eseguito e tale correttezza è stata accertata in giudizio.


Cassazione Civile Sentenza n. 8756 dep. 29/03/19
Omesso consenso informato
Occorre qui ribadire che la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni. Invero, il trattamento, eseguito senza previa prestazione di un valido consenso, avviene in violazione: sia dell’art. 32, 2° co., Cost. (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge); sia dell’art. 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica); sia dell’art. 33 della I. n. 833/1978 (che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono í presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 cod.pen.).


Cassazione Civile Sentenza n. 10423/19 dep. 15/04/2019
Omesso consenso informato
La Corte di Cassazione ha affermato che in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute.


Cassazione Civile sez.1 Ordinanza n. 12998 dep. 15/05/19
Amministratore per fine vita - il malato può nominare una persona che gli eviti le cure
Il malato grave può nominare un amministratore di sostegno mediante scrittura privata per rifiutare le cure nel caso di impossibilità a dare il dissenso.
Nella sentenza la possibilità di designazione anticipata quando si sia ancora nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive di un amministratore di sostegno con facoltà di quest’ultimo di poter impartire delle direttive di rifiuto alle cure quando si prospetti la situazione di impossibilità del designante.


Cassazione Civile Sentenza n. 15867 dep. 13/06/2019
Trasfusioni – Responsabilità medica
La Corte di merito ha dato conto delle condizioni molto gravi del paziente e della valida indicazione per la somministrazione delle trasfusioni assumendo, quanto al profilo del consenso informato, che se pure fossero stati informati dei possibili rischi delle trasfusioni, i genitori avrebbero certamente dato il loro consenso. La pronuncia ha inteso dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, per poter configurare la lesione del diritto ad essere informato, occorre raggiungere la prova, anche tramite presunzioni che, ove compiutamente informato, il paziente avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute.


Cassazione sez.III civile – 25/09/2018 dep. 25/06/2019 n. 16892
L’omesso consenso informato è un danno autonomo
L’omesso consenso informato è un danno autonomo e va risarcito in maniera ulteriore e autonoma rispetto al danno da errato trattamento medico.
Nei giudizi di responsabilità medica, occorre considerare sempre che la mancata acquisizione del consenso e l'errore nell'intervento medico costituiscono due prestazioni ben distinte, che non possono essere considerate complessivamente.
Tale distinzione, in termini pratici, comporta che il risarcimento spettante al paziente che non abbia rilasciato il proprio consenso a un intervento che, poi, non sia neanche stato eseguito correttamente è doppio: uno per l'errata esecuzione della prestazione del sanitario e un altro, ulteriore e autonomo, per l'omesso consenso informato.
Infatti "il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico … e, quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente".
Per quanto riguarda invece il trattamento medico terapeutico, esso "ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute".
Se doppia è la lesione, quindi, anche il risarcimento è doppio.


Cassazione sez.III civile - 07/11/2018 dep. 19/09/2019 n. 23328
Consenso informato su modulo prestampato
Non vale il consenso informato quando il paziente firma un modulo prestampato. Servono spiegazioni dettagliate e non format generici sui rischi dell’operazione.
Inoltre non è il malato a dover provare che non si sarebbe sottoposto all’intervento riparatorio se adeguatamente informato.

… il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all'uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell'informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (Sez. 3, Sentenza n. 2177 del 04/02/2016, Rv. 639069 - 01).

… in considerazione del carattere riparatorio degli interventi chirurgici successivi al primo e che si inserivano nell'ambito di un pregiudizio già verificatosi, il profilo relativo alla preventiva informazione non poteva non assumere un carattere particolarmente pregnante, dovendosi tradurre in comunicazioni dettagliate e specifiche al fine di consentire alla paziente di conoscere gli esatti termini della patologia determinata dai pregressi interventi e le concrete prospettive di superamento di quelle criticità. Pertanto, le peculiari caratteristiche dell'obbligo di informazione risultano del tutto incompatibili con le generiche indicazioni fornite dai sanitari prima del primo intervento per come accertate dai giudici di merito.

… in definitiva, dal carattere "riparatorio" degli interventi successivi al primo e dall'esito non risolutivo degli stessi, deriva che l'onere di dimostrare che, se adeguatamente informata, la paziente avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento non ricade su quest'ultima. Tale principio, infatti, opera nell'ipotesi, non ricorrente nel caso di specie, di intervento correttamente eseguito (Cass. civ. Sez. 3", Sent., 9-2- 2010, n. 2847).
In particolare (Anna Macchione - Ufficio Legislativo Fnomceo), viene inoltre sottolineato come la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute.


Cassazione sez.VI civile – 13/06/2019 dep. 18/11/2019 Ord. n. 29827
In chirurgia estetica consenso anche per il risultato ottenibile
In chirurgia estetica non è sufficiente il consenso informato all’intervento; è necessario anche quello al risultato ottenibile in quanto scelta privata e riservata a chi si sottopone all’intervento.

… in chirurgia estetica il consenso deve formarsi non solo in ordine ai rischi dell'intervento ed alle tecniche prescelte, ma anche in ordine al risultato estetico che da esso scaturirà, non potendo essere in ogni caso lasciata al sanitario la scelta sulla opzione esteticamente preferibile, che è scelta estremamente privata e riservata al paziente … 


Cassazione sez.III civile - 02/07/2019 sentenza 28985
Carente informazione
La violazione del dovere di informare il paziente può causare due diversi tipi di danno: danno alla salute e danno del diritto alla autodeterminazione.


Cassazione sez.III civile - 02/07/2019 dep. 10/12/2019 sentenza 32124
Importanza delle aggiunte manoscritte al modulo di consenso informato
Il modulo di prestazione del consenso sottoscritto lo stesso giorno dell'intervento non inficia la conclusione del corretto adempimento del relativo obbligo dei medici curanti, qualora il documento scritto appaia come approdo di un percorso seguito in precedenti incontri e discussioni aventi ad oggetto la valutazione delle patologie preesistenti della paziente, la necessità di procedere all'intervento, i rischi ad esso connessi e le sue eventuali complicanze e possibili infezioni.
Le aggiunte manoscritte riferite alla situazione della paziente rendono irrilevanti ai fini del giudizio di adeguatezza del consenso ulteriori rilievi sul contenuto del modulo.
(avv. Ennio Grassini)

Molto interessanti sono alcune puntualizzazioni nella sentenza:

  • L’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico prestato, con due diritti distinti:
    • il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge;
    • il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute.
  • In mancanza di consenso informato l’intervento del medico è (al di fuori dei casi di trattamento sanitario obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità) sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente.
  • L’obbligo del consenso informato costituisce la legittimazione e il fondamento del trattamento sanitario con le informazioni circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto al fine di porlo in condizioni di consapevolmente consentirvi (esecuzione, rischi, «inalterazione» cioè esito nullo e relativa sua inutilità).
  • Dovere della struttura e del medico è quello di informare il paziente in ordine
      • alla natura dell’intervento,
      • ai suoi rischi,
      • ai possibili e probabili risultati conseguibili,
      • alle implicazioni verificabili

          adottando:

  • un linguaggio a lui comprensibile,
  • tenendo anche conto dello stato soggettivo e del grado di conoscenze specifiche di cui dispone.
  • Il consenso informato va sempre acquisito
  • sia nel caso di scarsa probabilità (caso fortuito)
  • sia nel caso di alta probabilità (caso quasi certo) 

per una accurata valutazione dei rischi da parte del paziente quale titolare del diritto e pertanto la struttura sanitaria e il professionista non possono omettere di fornire tutte le dovute informazioni.

  • Il consenso deve essere oltre che informato, anche libero. Non può essere mai presunto o tacito, ma deve essere sempre espressamente fornito, dopo adeguata informazione, esplicita che permetta al paziente di scegliere tra le diverse possibilità o di rifiutare o interrompere.
  • È onere della struttura e del medico di provare l’adempimento dell’obbligazione di aver fornito completa ed effettiva informazione sul trattamento e sulle sue conseguenze e a questo proposito attenzione a eventuali modalità improprie e tra queste la sottoposizione alla sottoscrizione da parte del paziente di un modulo del tutto generico.

A questo proposito l’importanza:

  • di varie annotazioni sul modulo prestampato;
  • di una documentazione e le testimonianze di precedenti incontri medico-paziente inerenti la patologia, l’intervento e le possibili complicanze. 

Da quanto sopra si evince inoltre come sia la struttura che il medico siano responsabili di fronte a un consenso viziato: la struttura per non aver vigilato, il medico per aver raccolto un consenso viziato.


Cassazione sez.IV penale – 02/12/2019 sentenza n. 50619
Medico apicale delegante
Il medico apicale “delegante” non si libera completamente della propria originaria posizione di garanzia, conservando una posizione di vigilanza, indirizzo e controllo sull’operato dei delegati: ci sarebbe infatti un potere–dovere in capo al dirigente medico in posizione apicale di dettare direttive generiche e specifiche, di vigilare e di verificare l’attività autonoma e delegata dei medici addetti alla struttura, ed infine il potere residuale di avocare a sé la gestione dei singoli pazienti.


Cassazione sez.III civile - 15/01/2020 dep.26/05/2020 Ord.9887
Consenso informato viziato - Il paziente deve dimostrare che se correttamente informato non si sarebbe fatto operare
La Corte di Cassazione sottolinea prima di tutto che in ambito medico la manifestazione del consenso del paziente all'intervento chirurgico è espressione del diritto all'autodeterminazione, che trova il suo fondamento in quanto sancito dagli artt. 2, 13 e 32, comma 2, della Carta Fondamentale dei Diritti. Precisa tuttavia che, nel momento in cui il paziente agisce in giudizio perché ritiene che il suo diritto all'autodeterminazione sia stato violato, è suo onere dimostrare che a causa delle informativa incompleta o errata del sanitario, avrebbe compiuto una scelta diversa, come rinviare l'operazione, scegliere un altro specialista o non sottoporsi proprio all'intervento.


Cassazione sez.III civile – 04/02/2020 dep. 19/08/2020
Omesso consenso informato: non basta l'eventualità di un rifiuto
Il risarcimento per omesso consenso informato non può basarsi sull'eventualità di un rifiuto dell'intervento.
Il diritto al risarcimento del danno in caso di omesso consenso informato può scattare anche quando il paziente, a seguito dell'intervento, abbia subito un pregiudizio alla salute ma non sia riuscito a dimostrare la responsabilità del medico.
In tal caso, infatti, a essere stata leso è il diritto all'autodeterminazione e tanto basta per determinare un'ipotesi di responsabilità medica.
Tuttavia, il diritto all'autodeterminazione non è sempre risarcibile, ma lo è solo quando il paziente riesca a dimostrare che, se fosse stato in possesso delle informazioni che non gli sono state fornite, avrebbe rifiutato l'intervento e, eventualmente, si sarebbe rivolto a un'altra struttura.


Fonte: https://www.enpam.it/wp-content/repository/universaliamultimediale/CI/sentenzemassime.htm

Corvelva

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